Ora che si sono spenti i riflettori sul recente viaggio in Italia e la puntata in Sicilia del presidente della Cina è tempo di qualche riflessione e considerazione sull’importanza di quest’avvenimento.
Al netto, infatti, di qualche critica circa la superficialità con cui è stato preparato il “memorandum“, dei contrasti tra gli alleati di governo, dell’intervento di Mattarella volto a rassicurare gli alleati europei e quello americano e per un riequilibrio negli scambi tra i due Paesi, non vi è dubbio però che abbiamo assistito alla più importante e significativa iniziativa di politica internazionale che questo governo legittimamente può ascriversi e in particolare il vice presidente Di Maio.
Nessuno, infatti, si è accorto, che fine abbia fatto il ministro degli esteri, quello dell’economia o del commercio estero, per citarne solo alcuni, che pure qualche interesse e ruolo avrebbero dovuto mostrare. Farebbe bene il governo a socializzare con gli altri partner europei questo risultato, non solo per rispondere alle critiche, ma perché è bene che con una grande potenza mondiale il rapporto non sia di tipo bilaterale ma con tutta l’Unione Europea.
Le critiche di Francia e Germania, in verità più blanda quest’ultima, sono un po’ sospette, soprattutto da parte della Francia che con la Cina ha già intessuto rapporti commerciali rilevanti e continua a farlo, e anche perché sono viziate da interesse nazionale in quanto concorrente dell’Italia soprattutto in tema di portualità.
Quello che appare, però, ancora più grave è invece il carattere antimeridionalista di questo progetto della Via della Seta che infligge un colpo mortale alle possibilità di sviluppo del Sud, favorendo ancora una volta le aree forti del nord Italia a partire dai porti e dalle ricadute nel loro sistema economico.
La logistica, i progetti di comunicazione, i sostegni alle imprese, il rilancio del made in Italy, fino ai progetti strategici via mare e su ferro sono tutti concentrati in quell’area, guardando ai mercati lungo l’asse centrale dell’Europa, tagliando fuori il Mediterraneo.
Gli unici porti, infatti, di cui si parla sono Genova e Trieste. Un’altra occasione perduta in particolare per la Sicilia e la Calabria che possono vantare importanti strutture come Pozzallo, Catania, Termini Imerese e Gioia Tauro.
E veniamo alla visita in Sicilia. Il rigido protocollo non consentiva, ovviamente, di porre questo problema né l’interlocutore era il presidente cinese, bensì era il governo italiano con cui quello siciliano avrebbe dovuto, in previsione di questo storico avvenimento, farsi sentire, avviare un’interlocuzione, un confronto. Nulla di tutto questo.
Il governo regionale ha mostrato di non avere né voce né autorevolezza, l’opposizione di sinistra è rimasta silenziosa, assente e distratta da altre cose e i rappresentanti siciliani dei due partiti di governo, leghisti e grillini, si sono comportati da nuovi ascari.
Si dirà: però sono stati conseguiti importanti risultati sul terreno di un probabile aumento del flusso turistico, come conferma anche l’istituzione di un volo diretto Palermo- Pechino, per non parlare di qualche accordo commerciale che consentirà l’esportazione in Cina delle arance siciliane, dando un qualche respiro ai nostri produttori, anche se i vini rimangono appannaggio di quelli del Nord. Risultati importanti che vanno giustamente riconosciuti e valorizzati.
Nessuno può negare, infatti, importanza dell’industria turistica, la risorsa dei beni culturali, il valore della nostra agricoltura. Tutto questo, però non è sufficiente a determinare uno sviluppo solido e duraturo dell’economia se non è integrato con un solido apparato produttivo e la crescita della piccola e media industria, il rilancio del manifatturiero. Uno sviluppo turistico non potrà aver futuro se circondato dalla deindustrializzazione e da una desertificazione produttiva.
Se la Sicilia non sarà messa in condizione di competere nel mercato globale, di sfruttare le opportunità del raddoppio del Canale di Suez che ridarà centralità al mediterraneo, il suo destino sarà una nuova emarginazione e marginalità in cui i giovani con le loro competenze, intelligenze e capacità saranno costretti, come peraltro sta avvenendo, a cercare il futuro fuori dalla Sicilia.
Per questo occorrono reti infrastrutturali e logistiche. Il nesso logistica-mediterraneo rappresenta uno snodo decisivo attraverso il quale la Sicilia può svolgere un ruolo strategico a partire dal bacino mediterraneo fino all’estremo Oriente.
Senza di questo si accentuerà la frattura con il resto del Paese che non si limiterà solo sul terreno economico, determinando, di fatto, una separazione. E può darsi, come dice lo studioso Pino Aprile, che tutto sommato non sarà un male!