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L’arte dell’offesa, con semplici parole

venerdì 27 Agosto 2021

Carissimi, un gentiluomo subisce la sua offesa senza reagire così come paga i suoi debiti.

Chi sa perché si diceva così? Un uomo che dalle nostre parti subisce una offesa e non reagisce viene da sempre tra il popolo definito “debole” e debole non ha a che vedere con aspetti di natura costitutiva ma soltanto di natura caratteriale, e “debole” scoprii anni fa essere parola di grande offesa, trovandomi davanti allo stadio in fila per acquistare biglietti per la partita della domenica quando due “gentiluomini” avvezzi alla “professione del bagarinaggio” trovarono modo di giungere in contraddittorio verbale, quando il primo dei due si rivolse all’altro appellandolo “cornuto” che sapete bene vuol significare che la moglie di costui non abbia brillato tanto in fedeltà coniugale.

Questa offesa diciamo che passò in cavalleria con la risposta dell’offeso che appello a sua volta l’altro gentiluomo con il termine di “cornuto e magnaccio” che appo le popolazioni di queste latitudini lasciano intendere che non solo il soggetto abbia un rapporto matrimoniale controverso e alquanto “violato nella sua integrità” ma che la professione, in parallelo a questa chiamiamola “caratteristica” di esser munito di corna, offeso quindi nella onorabilità del rapporto coniugale, era quella di “magniaccio” che descrive un antico modo di vivere sfruttando una azione di protezione verso una o più donne che svolgessero il lavoro più antico del mondo. Restava solo da comprendere, ma il gentiluomo che portava l’offesa non aveva specificato la circostanza, se la professione veniva esercitata proteggendo e trattenendo la percentuale sulla prestazione professionale svolta da una qualunque delle signore in questione o se addirittura avvenisse in “house” usufruendo della vocazione della congiunta.

Ma come c’era da immaginare, questo siparietto professionale era ancora da classificare nella così detta “fascia 1” che si limitava al contraddittorio verbale svolto a distanza, ancorché privo di coinvolgimento personale di altri soggetti spettatori, siano essi partecipi allo scambio verbale incrementando la creatività di appellativi o solamente passanti spettatori.

Ma ciò che di certo alimentò il tutto quasi come un innesco nel “triangolo del fuoco” fu la risposta di uno dei contendenti alla di cui offesa di “cornuto e magnaccio” con l’appellativo “e tu si cornuto e debole”.

Al proferire dell’accoppiamento dei due termini, non posso riuscire esaustivamente con le parole a descrivere ciò che avvenne in quel piazzale dello stadio nel momento in cui il contraddittori giunse in “fascia 2” con il coinvolgimento di amici e passanti che tentavano di dividere dal voluto contatto fisico, attraverso l’uso scomposto degli arti, anche da parte di coloro che nulla avevano a che fare con il momento altamente dialettico e trovandosi sul posto volevano lasciare comunque nel mucchio e nella ressa il loro contributo “all’orbigna” come si suole dire, in modo cieco.

Non compresi inizialmente il perché di tanto livore, poiché il termine “cornuto” era già stato usato nel dibattimento senza causare tali reazioni e oggettivamente l’aggettivo “debole” poteva attribuirsi al destinatario dell’offesa vista la sua evidente conformazione fisica mingherlina ma dovetti necessariamente rivolgermi a dottori ancorché professori del “gabbo” per comprendere che l’aggettivo “debole” in questo contesto letterario veniva utilizzato “come colui che è cornuto e pur consapevole di esserlo si accolla l’onere delle corna senza reagire”, senza neanche far ricorso a le molteplici attenuanti del “codice Rocco” se e qualora fosse ancora in vigore, in toto o in parte.

Carissimi questo è il contesto culturale ancora esistente parallelamente ad alcune minoranze radical-chic presenti in ogni città, dove potrebbero verificarsi (anche lì) episodi di infedeltà coniugale, ma che vengono taciute o sotterrate o meglio delegate a “conversation” da tenere in uno al rito del tè o nei circoli, ma il tutto vissuto in modo “galante”, nascondendo dietro “costose mise”, “alti tenori di vita” o “nobili lignaggi”, animi di “troione” o “di che sa da fa ppe campà”.

Pertanto dico solo “imuci arasciu” (utilizziamo una certa prudenza) nel giudicare contesti a noi lontani e condizioni femminili assolutamente irrispettose della donna, del suo ruolo di individuo, del suo ruolo di madre, del suo ruolo di figlia poiché ancora oggi nel paese dei poeti, santi e navigatori (e non nel lontano medio oriente o nella sperduta Africa) continuano a perpetrarsi femminicidi da parte di chi sentitosi leso nel concetto becero di possesso di un altro individuo (esegue sentenze di morte, come se la coppia diventasse di per se un tribunale speciale).

Scandalizziamoci si, con il medio evo che ritorna attraverso le tv, ma operiamo affinché nell’era moderna il rispetto per l’individuo, per il valore della vita umana, assuma l’importanza prioritaria ad iniziare dalla terminologia che giornalmente utilizziamo nel nostro lessico di “persone colte”. Un abbraccio

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