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L’artista sperimentatrice Letizia Cucciarelli si racconta e ci racconta la sua arte | INTERVISTA

lunedì 31 Luglio 2023
Letizia Cucciarelli

«I miei viaggi e gli studi sul mito in particolare l’Odissea mi riportavano sempre a Scilla e Cariddi, poi la mia passione per Pirandello sul quale feci il tema alla maturità. Un amore tutto italiano la Sicilia ed anche un legame forse antico nel mio DNA.» (Letizia Cucciarelli)

Letizia Cucciarelli

Ciao Letizia, benvenuta e grazie per avere accettato il nostro invito. Ai nostri lettori che volessero conoscerti quale viaggiatrice, sperimentatrice, artista, scultore e pittrice, cosa racconteresti di te?

In sintesi la mia vita è stato un viaggio con una percezione del correre del tempo che ho impiegato per leggere, studiare, lavorare assiduamente con un semplice decalogo, serietà, onestà, senso della responsabilità. La struttura interiore si costruisce quotidianamente e quindi ogni esperienza individuale o collettiva è utile a migliorare se stessi, una sorta di investimento che mi ha aiutato con impegno costante e con la fede a superare le molteplici difficoltà della vita ed a perseguire i miei obbiettivi e traguardi in ogni campo. Nel viaggio si incontrano persone, si ascoltano le loro storie, si parlano lingue che si compongono di vocaboli appartenenti ad altri, così si imparano il rispetto e la riflessione e si sviluppa un’interazione fra l’esperienza, empirismo puro ed il proprio bagaglio culturale, a volte ho vinto per il mio modo di essere non solo per la preparazione professionale. La vita ti modifica e ti porta ad essere “coraggiosa” che è il contrario di “competitiva”, usare il cervello ed analizzare i problemi per trovare una soluzione, questo è stato il mio format come commercialista che si applica perfettamente anche alla versione di artista, specialmente nella scultura. Un parallelo, un procedimento che sembra incredibile mentre invece è frutto della stessa elaborazione mentale e conoscitiva, dalle leggi civile e tributarie a quelle della fisica.

… chi è invece Letizia Donna della quotidianità? Cosa ci racconti di te della tua vita al di là del

lavoro, dell’arte e della tua passione per i viaggi?

Bruce Chatwin e Rita Levi Montalcini possono esprimere i tratti essenziali delle mie passioni che vanno da una ricerca di sensazioni, nell’esigenza di un  movimento fisico ancestrale, nello spostamento e quindi del viaggio fino alla riflessione dello scienziato che, come essere umano verifica tutte le teorie attraversando continuamente i propri neuroni e le proprie cellule, atte a superare il dubbio, affrontare la vita non è fatto semplice ed il contatto con la natura è fondamentale così come le relazioni, i rapporti umani , tutto va coltivato con attenzione in particolare i sentimenti come sostiene Fromm. Il divertimento, il canto, la danza, la musica e la buona cucina oltre all’amore per la storia, l’archeologia, per la scienza in genere mi fanno sentire profondamente italiana o come scrivo io su Instagram un’italiangirl DOC. Sono nata in Italia ed ho assorbito tutte le qualità, difetti o pregi che siano, le passioni più tipiche che vanno da cibi semplici a stoffe e biancheria di lusso, cuscini e divani comodi per fermarmi a studiare, riflettere pensare circondata da mobili antichi, alcuni pieni di libri che svelano storie del passato.

Come è nata la tua passione per l’arte e per le arti visive in particolare?

A cinque anni disegnavo, poi a sedici quando la televisione trasmetteva la vita di Leonardo da Vinci cominciai con la creta, disegno a matita e chine su carte di Fabriano e pergamene, sculture solo in creta che però avrei voluto sviluppare anche in legno e marmo, senza pittura tranne quella su vetro. La passione non è mai cessata malgrado la lunga pausa professionale di oltre trent’anni ma, devo dire che lo studio dei Templari qui in Toscana, dove vivo ora, dal 2018 mi ha riportato alla scultura e poi anche, incredibilmente alla pittura. Prosegue l’utilizzo di materiali di recupero anche come supporti come le buste in cartone delle lastre da stampa Kodak reperite alla tipografia Bandecchi e Vivaldi di Pontedera.

Letizia Cucciarelli_Pistacchio

Quale il tuo percorso professionale, esperienziale, accademico e artistico che hai seguito? Chi

sono stati i tuoi maestri d’arte che ami ricordare? Se ci sono, parlaci di loro…

I miei maestri, inizialmente sono stati Leonardo, Michelangelo ma prima ancora, Picasso il cubismo ed il futurismo, quando visitai Parigi ed i suoi musei. Poi nel 2017 quando sono stata risucchiata nel mondo dell’arte come protagonista ho ricominciato a visitare i musei, ancor più assiduamente nel periodo del covid, ho iniziato relazioni anche con altri artisti e tramite l’utilizzo dei social ho iniziato rapporti con artisti di tutto il mondo in quanto, principalmente, mi considero un’osservatrice, fatto che mi consente di estraniarmi anche dal mio ego personale ed avere una visione lucida ed obbiettiva, mai autoreferente ed egocentrica. Questo mi consente di sviluppare continuamente tecniche diverse, specie nella pittura che è scaturita in modo più incisivo solo da tre anni in quanto prima ho sperimentato chine inchiostri sempre con il pennello grosso, inesorabile ed impietoso per verificare una sfida continua con me stessa. Utilizzo e mi preparo una serie di colori di varie qualità e natura, dagli acrilici ai minerali, tempere, terre e pigmenti, inchiostri, chine le spezie, caffè, olio di semi, poi materiali da restauro come il mordente e la gomma lacca. Da qui la sperimentazione verificando anche la reazione sui diversi supporti spesso con effetti singolari che caratterizzano una metodologia tipicamente leonardiana, ma vi è anche molta richiamo alle sfide di Picasso quando sosteneva di cimentarsi in ciò ce non sapeva fare.

… e la tua passione per i viaggi e la scoperta del mondo? Dove nasce a quando hai iniziato a

sentirti una vera viaggiatrice?

Nella mia famiglia la cultura era privilegiata rispetto alle altre esigenze, poco superfluo ma il conto aperto dal libraio e dal cartolaio per il disegno ed i colori, poi i viaggi di studio a Parigi ed in Inghilterra come premio vacanza. Sin dal 1982 oltre a studiare, lavoravo per avere i danari da spendere in un viaggio, il primo fu in Egitto, anche mio marito lo incontrai al ritorno di un viaggio in Messico, gli avevo preso il posto sul volo Pan Am… In realtà è stata proprio l’arte e le mie esperienze più recenti in sud America a farmi sentire una vera viaggiatrice, in quanto la maturità ed il bagaglio di esperienze mi hanno regalato una dimensione interiore più completa, in grado di apprezzare l’incontro fra culture e le loro differenze che si esprimo anche attraverso i segni ed i colori oltre che alle tradizioni.

Come definiresti il tuo linguaggio artistico? C’è qualche artista al quale t’ispiri?

I messaggi sono molteplici e molto differenziati, rimango sempre molto attratta dal primitivismo che motivò il rinnovamento dell’arte nel primo Novecento e che influenzò gli artisti che arrivavano a Parigi da ogni parte dell’Europa. Di conseguenza mi continuano ad affascinare i cubisti e Picasso ed i surrealisti, così come Giacometti, Ernst, Chagall, Picabia ma anche l’espressionismo tedesco nel quale molti trovano aderenze con il mio stile, del dadaismo sono sempre attratta da Hannah Hoesch, prima donna del dadaismo berlinese. Fra le sculture ho svolto temi tributati a Odilon Redon, Enrico Bay, Picasso Michelangelo, Rodin, Leonardo, Giacometti. Altro discorso è invece riferito ai Papi e Santi, frutto delle mie ricerche storiche ed alla materializzazione di questi volti sconosciuti, per mancanza di iconografia di riferimento che sembra si appalesino da soli come se fossero richiamati ad una nuova vita. Utilizzo tutti questi cartoncini e cartoni che poi incollo sui quadri creando dimensioni scenografiche e tematiche differenti mentre nella scultura sto proseguendo ad integrare nella creta sempre oggetti, pietre, legno o ferro, così come 40 anni fa, questo metodo ha suscitato molto interesse nei critici e negli storici dell’arte oltre al fatto di non cuocere le creta ma, anche le tecniche pittoree della creta sono molto varie da lunghissimi procedimenti “a fresco” allo smalto sul bagnato.

Tu hai sviluppato un tecnica artistica personale e particolare della quale troviamo spunto nella presentazione che fai nel tuo sito web ufficiale dove, tra le altre cose, scrivi: «I riferimenti a stili, colori, strumenti e materiali utilizzati fanno parte del viaggio e delle scoperte che emergono nel descrivere gli incontri, le percezioni ed i legami del divino all’uomo. È per mezzo di questa libertà di sperimentazione che verifico l’inserimento di materiali già vissuti con la terra, l’argilla e rappresento figure diverse che vanno dal mito alla storia, la memoria degli oggetti fornisce un richiamo alla rinascita sia fisica che spirituale così come gli artisti del passato a volte si divertono con me e giocano fino a ritrovare qualche momento di vita». Ci racconti questo percorso, come sei arrivata a questa definizione artistica, e poi quali gli strumenti che utilizzi, i materiali per realizzare le tue opere pittoriche e scultoree? Insomma, raccontaci di questo tuo modo di creare e di fare arte.

Innanzi tutto utilizzo un codice che rispetta il più possibile l’impatto ambientale e l’ecologia, tutti i supporti sono di riciclo-riuso o scarto di produzione dal cartone alla carta ai ritagli ma anche oggetti parte di attrezzi rotti o non più utilizzabili o spaiati di uso domestico. Gli oggetti così riprendono una loro nuova funzione ed anche una loro vita autonoma modificando l’opera nella quale vengono incorporati od inseriti prendono parte ad un’operazione alchemica di trasmutazione, da rifiuti ad opera d’arte. La creta come la carta è materiale vivo intriso di humus vegetale e animale, ogni blocco è diverso ed ogni esperienza di contatto è nuova, carnale e tattile, plasmare è come sedurre e venire sedotti a nostra volta, la creta è faticosa ed assorbe energie per poi restituirle. In questi momenti avvengono gli “incontri” con queste entità che mi guidano o con i soggetti stessi che si presentano silenziosamente, a volte i dialoghi iniziano nel dormi veglia od in visioni nelle quali decifro già quello che nascerà, oppure sono le coincidenze, un soggetto, di un nome o di un’immagine od una musica che mi sollecitano tramite i mezzi più disparati, da lì capisco che vogliono essere rappresentati. Ovviamente questa differenziazione sia tecnica che di ispirazione comporta diversi livelli di esiti e di stili alcuni più mistici, spirituali e religiosi altri più scanzonati e dissacranti come i dadaisti, altri più concettuali e provocatori come i surrealisti.

Tu, Letizia, fai parte del Effettisti del Maestro Franco Fragale e della figlia, Francesca Romana, che ha portato avanti il Manifesto della corrente artistica Effettista che concepisce l’arte come creazione dell’uomo non contaminata da sovrastrutture tecnologiche, informatiche o da applicazioni artificiali. Come mai hai scelto di far parte di questa prestigiosa corrente artistica e quali i presupposti che condividi nella tua arte e nel tuo modo di creare?

E’ stato come un colpo di fulmine, quando ho letto il manifesto effettista mi ci sono identificata immediatamente, in primo luogo per il fatto di non copiare, non riprodurre, poi la vastità culturale nella quale potersi esprime ma, soprattutto ho capito di essere entrata nell’esperimento scientifico dell’Ingegner Fragale, infatti il mio esercizio sulla memoria, sia mia che dei supporti che utilizzo entra direttamente nel processo sperimentale dell’effetto “specchio “ neuronale e della memoria del Dna. Non c’è giorno che io non pensi come mi sarebbe piaciuto conoscerlo e ringrazio sempre Francesca Romana per avermi accolto in questo straordinaria corrente pittorica.

Quali sono secondo te le qualità, i talenti, le abilità che deve possedere un artista per essere definito tale? Chi è “Artista” oggi secondo te?

Domanda trabocchetto, rispondo di getto citando altri, da De Domicis che demonizzava gli artigiani, coloro che hanno solo abilità ma non moto interiore, l’artista oggi ha dei doveri morali prima di tutto e deve essere istruito, come nel Rinascimento, Raffaello studiò Gregorio IX prima di raffigurarlo, per non parlare poi di Michelangelo, grande studioso della Divina Commedia ed il suo massimo interprete con Caronte e Minosse. Il vero artista deve sperimentare ed avere il coraggio di osare con le tecniche e con i materiali ma deve studiare essere preparato, dotato di una multidisciplinarità, come perfettamente individuato da Francesca Romana e gli effettisti, poi il vero artista dovrebbe essere svincolato dal fattore commerciale, dai gusti della moda e dal mercato perché i suoi valori sono impagabili.

Pur non essendo siciliana e pur non avendo origini siciliane, hai da sempre avuto una grande passione e un grande interesse per la Sicilia, per quel che riguarda la sua storia, l’arte, la letteratura, i suoi scrittori e poeti, i suoi grandi artisti nelle varie arti, l’architettura, i cibi e lo spettacolare paesaggio di cui noi che la viviamo ne godiamo ogni giorno. Ci racconti da emiliana trasferitasi in Toscana come è nata questa passione? Perché senti questo legame con la Sicilia e qual è il tuo pensiero e le emozioni che ti innesca la nostra terra, le sue tradizioni, la sua cultura e la sua gente?

Sin da bambina la mia famiglia aveva una mentalità cosmopolita, veneta la mamma, umbro papà, gli zii Migliorini, accademici della Crusca ed esperantisti, fra Firenze e Roma, poi tanti amici siciliani sia dei miei genitori che di mia sorella maggiore che ha studiato lingue, anche a scuola la mia compagna di banco era nata a Caltagirone, poi molti avvocati, i migliori legulei d’Italia, professionisti ed impiegati negli Uffici pubblici con i quali ho intrattenuto lunghi rapporti amichevoli. I miei viaggi e gli studi sul mito in particolare l’Odissea mi riportavano sempre a Scilla e Cariddi, poi la mia passione per Pirandello sul quale feci il tema alla maturità. Un amore tutto italiano la Sicilia ed anche un legame forse antico nel mio DNA.

Ci racconti un episodio bello e che ti ha fatto piacere che hai vissuto nella tua esperienza artistica e un episodio che ti è molto dispiaciuto?

Gli incontri sono stati tutti molto felici sia con gli storici dell’arte, i critici,  gli art directors che con gli artisti, con il pubblico ho avuto riscontri di gratitudine, frasi come: “lei mi ha cambiato la vita” ma il più bello è stato sicuramente quando recentemente i bambini delle scuole elementari e medie che frequentano un corso di pittura sono venuti a visitare la mia personale “PUEBLO VITRI, DAL DAD AL SUDAMERICA”. Per rompere il ghiaccio ho esordito dicendo: -“Oggi bambini succederà una cosa diversa, non sarò io ma, sarete voi a darmi il voto.”- In conclusione i bambini hanno ascoltato, guardato e commentato ogni quadro ma soprattutto la scultura di Papa Innocenzo II ed il voto finale è stato “infinito”.

Partecipai ad un premio dove vi erano solo due sculture ed una era mia, guardando per caso il computer vidi il nome dell’altro scultore ma subito dopo anche il suo scomparve mentre era stato nominato un altro pittore, forse una svista, chissà. Il mio disappunto è stato per l’altro scultore, bravissimo e poi per la preferenza alla pittura degli organizzatori che trascurarono la scultura.

Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita artistica e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che hai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?

Non ho dubbi in tal senso, ringrazio i miei genitori per l’educazione, l’istruzione e le possibilità di arricchire la mia vita di cultura e del giusto senso di autonomia, per il mio improvviso ritorno nell’arte devo ringraziare il mio mentore personaggio politico, baritono e pittore Corrado Avanzi che mi presentò nel 2017 alla Biennale di Milano con il Professor Sgarbi. Da quel momento ho ripreso in mano la matita ed i vecchi Caran d’Ache e mi sono rimessa timidamente a creare. Ringrazio inoltre tutti gli amici, vicini di casa che mi sostengono e mi regalano materiali per creare ed anche tante ispirazioni.

Letizia Cucciarelli_Scilla e Cariddi

«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?

Bellezza non è solo un ritorno al classico, liscio, armonioso o plastico, nel nostro secolo l’uomo deve pensare ed agire con maggior coscienza, ha bisogno di un contatto più vicino all’assoluto che non si esprime solo con il concetto classico anzidetto ma anche tramite un total white, bellezza è quindi pulizia di tutte le nefandezze che circondano l’uomo e di cui è in parte anche colpevole come il peccato contro la natura, bello è ciò che trasmette un messaggio autentico e sincero perché vi è troppa finzione ed apparenza. Meno formalità meno tecnica ma più messaggi autentici.

«C’è un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra visibile nascosto e visibile apparente.» (René Magritte, 1898-1967). Cosa ne pensi di questa frase detta da Magritte? Nelle arti visive qual è, secondo te, il messaggio più incisivo? Quello che è visibile e di immediata comprensione oppure quello che, pur non essendo visibile, per associazione mentale e per meccanismi psicologici proiettivi scatena nell’osservatore emozioni imprevedibili e intense?

Decisamente Magritte non ha scritto a caso, il messaggio più recondito, la congiunzione di linee subliminali diventa quello più toccante, vedasi gli esperimenti di Breton, per questo la mia arte è in gran parte affine al surrealismo proprio in virtù dei meccanismi dell’automatismo; più precisamente un’opera che incanta è perché contiene dettagli o figure che neppure l’artista sa di avere dipinto.

«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?

In buona sostanza ho già risposto nelle domande precedenti, in particolare Giovanni Falcone era un brillante studente di diritto che si laureò in un lampo, è chiaro che solo il sacrificio, l’impegno e la determinazione creano la soluzione o comunque la via per affrontarla, spesso chi ricerca soluzioni fatue o scorciatoie finisce per trovarsi senza niente o peggio ancora con altri problemi. La Fortuna, il fato si sa possono dare un contributo positivo o negativo ma Falcone sapeva benissimo che senza una formazione seria tanta gente ha buttato al vento interi patrimoni perché non se li erano guadagnati loro.

«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella tua arte e nelle tue opere?

È chiaro Anais Nin parla del fuoco interiore, dei tumulti e delle passioni che danno origine ai moti creativi, in fondo anche lei descrive meccanismi mentali ed emozionali ma è poi il fattore psichico che fa trascendere l’uomo al metafisico, gli artisti conoscono benissimo questo stato, quando le energie stanno per diventare pulsioni e crescono fino a darti una leggera tachicardia è quello il momento limite: devi creare!

Da ragazzo ho letto uno scritto di Oscar Wilde nel quale diceva cos’era l’arte secondo lui. Disse che l’arte è tale solo quando avviene l’incontro tra l’“oggetto” e la “persona”. Se non c’è quell’incontro, non esiste nemmeno l’arte. Poi qualche anno fa, in una mostra a Palermo alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Riso, ho ascoltato un’intervista di repertorio al grande Gino de Dominicis che sulle arti visive disse questo: «Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali. Quindi il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile perché sono linguaggi molto diversi tra loro … L’arte visiva è vivente … l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di essere visto. Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o ascoltati per esistere.» (Gino de Dominicis, intervista a Canale 5 del 1994-95). Cosa ne pensi in proposito? L’arte esiste se esiste l’incontro tra l’oggetto e la persona, come dice Oscar Wilde, oppure l’arte esiste indipendentemente dalla persona e dal suo incontro con l’oggetto, come dice de Dominicis per le arti visive? Qual è la tua prospettiva sull’arte in generale?

Questo è un discorso molto dibattuto direi che ormai si sta tramutando in un assunto filosofico, secondo me è una questione basata sui meccanismi percettivi e qui dovremmo andare sul concettuale per trovare la terza via di Duchamp quando l’oggetto è arte di per sé; pertanto, trovo più preciso De Domicis perché cita il mezzo, ovvero il linguaggio immobile che non comunica con gli altri ma cosa esprime in fondo se non il concettualismo? Ovvero la forza dell’arte è tale da superare le barriere dei sensi perché esprime un’aurea propria che si potrebbe anche solo toccare od odorare. Wilde sostiene la necessità di un evento che potrebbe anche non avvenire in quanto è il soggetto che deve recepire e venire catturato come per i miei papi, tutti i bambini li guardano con naturalezza mentre certi adulti passano distrattamente ma quelli che si fermano rimangono ipnotizzati.

«Poi c’è l’equivoco tra creazione e creatività. L’artista è un creatore. E non è un creativo. Ci sono persone creative, simpaticissime anche, ma non è la stessa cosa. Comunque, questa cosa qui dei creativi e degli artisti, nasce nella fine egli anni Sessanta dove iniziano i galleristi ad essere creativi, poi arrivano i critici creativi, poi arrivano i direttori dei musei creativi… E quindi è una escalation che poi crea questi equivoci delle Biennali di Venezia che vengono fatte come se fosse un’opera del direttore. Lui si sente artista e fa la sua mostra a tema, invitando gli artisti a illustrare con le loro opere il suo tema, la sua problematica. Questo mi sembra pazzesco.» (Intervista a Canale 5 del 1994-95). Tu cosa ne pensi in proposito? Secondo te qual è la differenza tra essere un “artista creatore” – come dice de Dominicis – e un “artigiano replicante” che crede di essere un “artista”?

A tal riguardo riporto la citazione di Carlo Vanoni con riferimento a Banski da lui definito non un artista ma un grande comunicatore, ed il secondo, Jeff Koon, considerato da molti uno che utilizza sub fornitori che producono su suo disegno. Quindi appendere banane o disegnare topi è un evento che pur provenendo da un’idea e da un impulso creativo e sicuramente un effetto mediatico, così come stracci, spazzolone e secchi da pavimento che sembravano abbandonati, in una sala della Biennale di Venezia, mentre invece erano opere d’autore. Il termine creatività oltre agli effetti provocatori nasce da un percorso soggettivo molto complesso che va ben oltre un’idea buttata lì e poi rappresentata da oggetti come per gli stracci summenzionati. Girando molti musei dal Centre Pompidou al Moma vi sono molti esempi di opere concettuali ma ve ne sono anche più elaborate, più articolate dove il simbolo risulta metabolizzato dall’artista e questo si recepisce immediatamente a mio avviso. Questo è il mio pensiero anche in considerazione delle mie visite a musei che non esistono più come il Jeux de pommes a Parigi, poi fu sviluppato il Museo d’Orsay molto diverso e più ampio, nel Jeux de pommes vi erano gli impressionisti e poi un reparto di arte contemporanea con un banco da macelleria con parte del corpo umano esposte. Pertanto i creativi possono essere considerati ma non lasciano traccia, solo un procedimento intellettualmente ed emotivamente complesso, ripetuto ed autentico non casuale e sporadico, definisce il vero artista. Vedasi Duchamp, padre dell’arte concettuale che fra un orinatoio e l’altro giocò a scacchi per trent’anni, torniamo sempre al medesimo punto di rottura: se anche un chiodo può essere un’opera d’arte vi è elaborazione del solo pensiero, idea o concetto. Se questa è l’evoluzione bisogna però considerare la professionalità se un artista si esprime con la concept art probabilmente ha anche altri stili al suo attivo avrà un percorso, altre fasi di elaborazione e di studio non pura casualità poi esaltata da direttori e critici, credo profondamente siano questi i distinguo da adoperare. Anch’io per esempio ho un ciclo di “concept art” come castità parallele, l’occhio horus, il templare svelato con tronchi di legno, catene di ferro arrugginite, lampadari ma nel mio format vi sono altri tipi e livelli espressivi come descrivo nel mio sito internet.

 «Ma, parliamo seriamente, a che serve la critica d’arte? Perché non si può lasciare in pace l’artista, a creare, se ne ha voglia, un mondo nuovo; oppure, se non ne ha, ad adombrare il mondo che già conosciamo e del quale, immagino, ciascuno di noi avrebbe uggia se l’Arte, col suo raffinato spirito di scelta e sensibile istinto di selezione, non lo purificasse per noi, per dir così, donandogli una passeggera perfezione? Perché l’artista dovrebbe essere infastidito dallo stridulo clamore della critica? Perché coloro che sono incapaci di creare pretendono di stimare il valore dell’opera creativa? Che ne sanno? Se l’opera di un uomo è di facile comprensione, la spiegazione diviene superflua… » (Oscar Wilde, “Il critico come artista”, Feltrinelli ed., 1995, p. 25). Cosa ne pensi delle parole che Oscar Wilde fa dire ad Ernest, uno dei due protagonisti insieme a Gilbert, nel dialogo di questa sua opera? Secondo te, nella arti in generale, e quindi anche nelle arti visive, serve il critico? E se il critico d’arte, come sostiene Oscar Wilde, non è capace di creare, come fa a capire qualcosa che non rientra nelle sue possibilità, nei suoi talenti, ma che può solamente limitarsi ad osservare come tutti gli esseri umani? Qual è da questa provocatoria prospettiva la tua posizione?

Rispondo con una frase di Pablo Picasso: – “Io non ho bisogno di un critico ma di un poeta”– La questione è importante ma anche qui bisogna distinguere bene le posizioni e la professionalità delle figure, lo storico dell’arte e critico deve svolgere questo ruolo senza permettersi di modificare o consigliare l’artista e se lo fa il suo interlocutore non è un vero artista. I critici analizzano molto bene a mio avviso sia i tratti e le stratificazioni di colori o gli sviluppi della materia tridimensionale e personalmente devo riconoscere che hanno sempre individuato e descritto i riferimenti storici ai quali riferire i vari livelli di espressione. Dall’altra parte è certo che Picasso innovando repentinamente le tendenze con le “Demoiselles d’Avignon” e con le sue decomposizioni cubiste abbia sconvolto il parere i critici e si prese molti schiaffi anche nelle rappresentazioni teatrali fallite, anche Courbet al “Salon d’Automne” non fu capito ed anche gli impressionisti. Adesso i critici sono più preparati ed è necessaria l’analisi del pensiero dell’artista e la sua ricerca sperimentale che va, gioco forza, alla ricerca di strutture innovative. Il critico è idoneo a questa operazione la sua funzione è importante ma, non in via esclusiva ed assoluta. Per esempio vi sono molti osservatori, non esperti che manifestano osservazioni d’impulso che probabilmente promanano da procedimenti ed elaborazioni in parte diverse che poi coincidono con la valorizzazione dei critici.

Tu ami molto la letteratura e la poesia. Come nasce quest’altra tua passione e quando ti sei resa conto di questo amore letterario?

Scrivevo spesso anche da ragazzina come una delle mie passioni sempre più provenienti dalla letture di saggi, biografie o testi storici è una modalità di espressione molto intima, meno complessa della scultura. In virtù della mia professione ho scritto molto, da ricorsi a perizie e spesso ho evidenziato concetti filosofici in elaborazioni di carattere economico e non vi è nulla di strano in quanto gli illuministi erano tutti studiosi multi disciplinari. Attualmente ritengo che potrei anche scegliere di abbandonare le creazioni artistiche se questo facesse parte dell’evoluzione del mio percorso creativo in quanto gli strumenti sono molteplici ed aperti non esclusivi. Molti artisti erano poeti e scrittori come Michelangelo, Leonardo, Picasso e molti altri come Cocteau, meno famosi come artisti.

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri e tre autori da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della tua scelta.

Il primo è Herman Hesse perché nei suoi Racconti svolge con armonia quei passaggi fra sogno e realtà e tocca i vari stati d’animo con una delicatezza efficacie per ogni tipo di cultura sia occidentale che orientale oltre alle ambientazioni che rispecchiano i significati simbolici del racconto schematizzato come una favola per adulti.

Il secondo è Madre Teresa sii la mia luce a cura di Brian Kolodiejchuk, un libro che mi ha aiutato ad uscire da un momento buio, il buio che anche Madre Teresa ha attraversato per un periodo lunghissimo pur operando per il bene assoluto, la profondità della sua sofferenza era sempre sovrastata dalla sua gioia e dal suo sorriso ed in certo modo mi ha dato piccoli preziosi consigli per uscire da una mia crisi personale. Una lettura molto veloce che è riuscita ridarmi gli spunti di cui avevo bisogno comunque al di fuori di un processo di identificazione o di analogia, ma è stato come se mi fossi aggrappata a lei chiedendole aiuto e l’ho ricevuto.

Il terzo testo che a mio avviso va ben oltre alle strutture ed ai contorni letterarie e travalica nella psicologia è “Uno, nessuno centomila” di Luigi Pirandello. Devo sottolineare che fui molto colpita da ragazzina, dopo avere letto moltissimi libri di Sigmund  Freud, dall’abilità dalla perizia e dall’acutezza delle analisi di Pirandello nell’evidenziare quello che io definisco “l’assurdo quotidiano”, come il rapporto con gli altri sia sempre improntato da meccanismi di rifrazione nella comunicazione e nella comprensione sia attiva che passiva del linguaggio che appunto riflette su ciascuno di noi non il nostro vero essere ma il frutto di un messaggio elaborato da influssi sociali, di convenienza e in parte frutto di ragionamenti dell’interlocutore, da questa miscela si origina la famosa maschera che il prossimo ci attribuisce inesorabilmente, nostro malgrado. Lo trovo attualissimo soprattutto in questa era social.

Ti andrebbe di consigliare ai nostri lettori tre film da vedere assolutamente? E perché secondo te proprio questi?

“Le quattro piume” al quale ho intitolato anche uno dei miei ultimi quadri con Heath Ledger, un meraviglioso e drammatico esempio di un uomo tacciato di codardia che si lancia in un’avventura al limite della sopravvivenza per espiare il proprio peccato e l’incontro con un gigante nero nobile musulmano che lo salva nel deserto e poi colpi di scena fra storie d’amore e di amicizia.

“Passaggio in India”, un po’ diverso dal libro di Forrester dove le atmosfere nei templi, i suoni ed i colori della natura fungono da messaggeri soprannaturali e magici che coinvolgono tutti i protagonisti ed un fil rouge che li lega fino all’ultima scena con l’Himalaya che fa da sfondo. Il professore inglese che nel libro si definisce “un viaggiatore senza valigia”, l’anziana Miss Moore che vive una sorta di richiamo fra reincarnazione e percezione della morte ed un Alec Guinness, impareggiabile santone ed oracolo che compare nei luoghi più impensati. Un capolavoro.

Un film molto discusso, forse poco apprezzato è il “Paziente Inglese”, ricerche archeologiche in un periodo nel quale i territori africani erano contesi fra francesi, inglesi e tedeschi il conte Lazlo e la storia d’amore fra le sabbie del deserto, intervallato nei ruderi di una canonica circondata da scorci tipici della Toscana, una Binosche che come una vestale accudisce il moribondo Lazlo fino all’ultimo respiro è poesia pura.

 Ci parli dei tuoi imminenti impegni professionali, dei tuoi lavori e delle tue opere in corso di realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento? In cosa sei impegnata?

Ora sto completando uno scritto su Palermo e su Andrea Giostra, le didascalie per il mio sito internet riguardanti i papi toscani tutti personaggi del XII secolo, tranne il primo papa Giovanni XXIII, nei quali si è inserito Gioacchino da Fiore, la cui testa in bronzo ho donato al Comune di San Giovanni in Fiore, in Calabria, figura che si collega alla Divina Commedia ed agli studi di un giovane papa Ratzinger, ho moltissima carne al fuoco. Ho iniziato un nuovo ciclo con strisce di carta e cartoncino sempre provenienti dalla Bandecchi e Vivaldi che mi portano i miei vicini di casa. Questo mio stile che utilizza i materiali di scarto evidentemente sollecita anche tutti i miei amici mi che in fondo partecipano anche loro a questo format creativo, io vedo cosa mi mettono nelle sportine o nei cartocci e poi creo. Ieri ho visitato la casa museo di Sofia Vaccà Belinghieri proprietaria con la sorella anche del Tempio di Minerva di Montefoscoli, dove attualmente vi è la mostra permanente delle mie opere sul mito e su Parigi. Sofia mi ha dato un bellissimo lampadario liberti un po’ acciaccato per le mie sculture con cilindri di vetro, con l’occasione ho consultato dei meravigliosi testi antichi fra i quali proprio una Divina Commedia illustrata da Gustave Dore’, non credevo ai miei occhi, grande emozione. Sto pensando a sistemazioni logistiche ed a metodi diversi di visualizzazione delle mie opere tramite il web.

Una domanda difficile: perché i nostri lettori dovrebbero comprare le tue opere? Prova a incuriosirli perché vadano nei portali online o vengano a trovarti nel tuo atelier per comprarne alcune.

Oltre al fatto che ognuno è un pezzo unico e conformemente ai dettati effettisti non faccio copie né riproduzioni, in primo luogo vi è una motivazione portante, il mio impegno ecologico nato oltre 30 anni or sono, comprare un’opera tutta di materiali da riciclo è come salvare un alberello, rami foglie è come aver salvato una pianta, migliorato l’ambiente, l’aria ridotto la combustione degli inceneritori, il combustibile dei trasporti rifiuti e tutti i costi dell’indotto delle discariche, secondariamente vorrei che rimanesse vivo quel senso di gioia che le persone ricevono quando escono dalle mie mostre dopo la mia illustrazione, quindi gioia ed energia oppure per le sculture potrebbero acquistare un totem vivente che rifrange vibrazioni e memorie antiche con le quali colloquiare in solitudine perché loro fanno compagnia e quando sono in giro per esposizioni varie mi mancano, in ultimo ma non da meno sono come dei libri fra storia ed antropologia i percorsi di santi papi e dei antichi che possono raccontare i loro viaggi, i loro studi e le loro scoperte.

I proventi netti se verranno saranno destinati ad opere di recupero di beni archeologici, di interesse storico o benefico così vi potrà essere un’ulteriore diffusione e propagazione dell’effetto benefico della mia produzione.

Dove potranno seguirti i nostri lettori?

Sul mio sito internet www.dadaletizia.com dove spiego i miei decaloghi ed altre curiosità inedite, poi su Facebook ed Instagram dove pubblico notizie di archeologia, arte ed aggiornamenti sulle mie visite museali con reels musicali e ovviamente le mie mostre od eventi culturali e letterari sia in Italia che all’estero sempre con il mio nome e cognome: letizia cucciarelli.

Per concludere questa chiacchierata, cosa vuoi dire alle persone che leggeranno questa intervista?

Vorrei riuscire in futuro a continuare a coinvolgere il pubblico sperando che prosegua ad apprezzare il mio messaggio artistico in quanto ritengo che vi sia ancora qualcosa da dire nell’arte contemporanea con serietà ed ironia e quindi anche divertimento che è un aspetto della nostra cultura italiana, molto apprezzata in tutto il mondo, quindi evviva l’italian style con l’italiangirl.

 

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