Nella Giornata internazionale della donna che ricorre ogni anno l’8 marzo – negli Stati Uniti dal 1909, in Italia dal 1922 – vogliamo ricordare (soprattutto a beneficio di quanti ignorano il motivo della sua istituzione – non come ‘festa’ semmai come occasione di riflessione sulla, ancora tristemente attuale, discriminazione di ‘genere’ tra uomo e donna, circostanza primitiva che l’ONU si auspica di poter dissolvere entro il 2030) alcune delle donne che hanno segnato l’ambito artistico in Sicilia ma che, tutt’ora, rimangono all’ombra della produzione artistica maschile.
Parliamo di artiste che, per quanto non tutte nate nell’Isola, hanno qui vissuto e lasciato traccia imperitura, oltre che valida, della loro opera.
Riscoperte “farfalle d’acciaio” e non più “larve di immagini“ – come le ha definite Lea Vergine, critica d’arte e curatrice italiana – di loro è stato necessario ricostruire praticamente tutto: date, spostamenti, motivazioni per cui, spesso all’ombra di un marito più famoso, sono giunte in Sicilia.
Esempio emblematico è quello di Sofonisba Anguissola, pittrice cremonese di nascita trasferitasi a Palermo dove è deceduta nel 1625; le sue spoglie, per altro, sono custodite nella chiesa di San Giorgio dei Genovesi.
Quello che viene fuori dalle ricerche condotte da altrettanto appassionate, e contemporanee, cultrici della materia è un panorama interessante e ricco di significative figure che vogliamo qui delineare, per grandi vie: alcune hanno avuto il successo che meritavano, altre, paradossalmente, aspettano ancora di aver riconosciuto, dal “grande pubblico”, un indiscusso talento.
Sono donne con caratteristiche diverse e a volte molto lontane: più o meno longeve e prolifiche, di origini spesso borghesi, mogli di artisti importanti o discendenti loro stesse da famiglie con forti inclinazioni culturali; alcune molto mondane e spigliate, altre riservate e dedite ad un lavoro in solitudine.
Insomma un caleidoscopio di variabili che, insieme, contribuiscono a formare un ampio campo florido dell’Arte in Sicilia al femminile.
Tra l’800 e il ‘900
Cominciamo da Adelaide Atramblé (Parigi, 1822 – Palermo, 1859), pittrice franco-napoletana vissuta alla Corte di Ferdinando II di Borbone, si trasferì a Palermo nel 1850 subito dopo le nozze col giovane magistrato palermitano Domenico Sommariva Grenier.
Di lei si venne a conoscenza grazie al ritrovamento, fortuito, di un epistolario, con una cinquantina di missive ingiallite indirizzate al padre, il generale Horace Atramblé, e scritte tra il giugno e il dicembre del 1850.
Queste lettere sono state tessere di un mosaico che ha permesso di ricostruire brani di vita, affetti domestici e valori di un tempo passato offrendo inedite testimonianze sulla Palermo di metà Ottocento. Si racconta dei primi mesi della vita palermitana di Adelaide, una narrazione di fatti e stati d’animo intimamente legati alla genesi dei suoi dipinti, tra cui la Veduta di Capaci con l’Isola delle Femmine e la Veduta di Catania, opere che riportano la delicata sensibilità che la contraddistingueva.
Sempre a cavallo tra ‘800 e ‘900 si colloca la presenza a Palermo della giapponese Tama Kiyohara, giunta in Sicilia per amore del marito, l’artista Vincenzo Ragusa, conosciuto nel 1877 in Giappone.
Ragusa era già un affermato scultore mentre Tama muoveva i primi passi nell’arte nipponica come pittrice raffinata; cominciò così un sodalizio umano e artistico che dal Sol Levante si collocò in Sicilia – dove l’artista vivrà per 51 anni – con una contaminazione di stili, di tecniche e di colori.
Recentemente, a dispetto e per fortuna ci vien da dire, delle altre artiste che citeremo, l’opera della Kiyohara è stata celebrata con grandi e importanti mostre (una ancora in corso, fino la 6 aprile 2020 al Palazzo Reale).
Felicita e Amalia Alliata di Villafranca e d’Ucria (Felicita – Palermo, 1876/1964 – Amalia -Palermo, 1881 – Bagheria, 1914), sorelle vissute in un ambiente aristocratico come villa Valguarnera a Bagheria, ricevettero una formazione eclettica, secondo le abitudini di tutte le grandi famiglie aristocratiche.
Letteratura, musica ma anche le arti discipline care a tutta la famiglia Alliata: il gene dell’arte infatti fu, ed è tuttora, presente in molteplici sfaccettature.
Studiano musica e pittura con Ettore Ximenes, le sorelle Alliata, dedicandosi agli autoritratti e ai ritratti di famiglia, al paesaggio loro familiare, fruibile dalla villa presso cui dimoravano, a piccoli schizzi segnati da fine vena umoristica e da delicata sensibilità.
Eleonora Arangi, palermitana di nascita (1883 – 1933) sviluppa le sue doti artistiche, di disegno e pittura, all’interno delle mura domestiche e il suo precoce talento colpisce l’attenzione di un pittore molto noto del tempo, Pietro Volpes, allievo di Giuseppe Patania.
Della sua produzione – esigua per la verità – si nota l’interesse per una pittura realistica, con inclinazioni verso la modernità attraverso piccoli tocchi vibranti, che spezzano la pennellata. I ritratti da lei realizzati, poi, sono connotati da una nuova espressività e da sapienza coloristica e compositiva del tutto peculiari.
Il periodo futurista
Tra le artiste futuriste che operarono a Palermo citiamo Adele Gloria che si distinse nel campo dell’aeropittura e dell’avanguardia, nei primi anni ’30 a Catania; fu poetessa, fotografa, pittrice, scultrice e giornalista, artista “totale” secondo i canoni del movimento.
Maria Carramusa Rizzo sposò nel 1924 l’artista Pippo Rizzo, dal quale avrebbe avuto due figlie, Elica (1925) e Alba (1932). I Rizzo vissero a Palermo in via Serradifalco 78, per poi trasferirsi in via Vincenzo da Pavia 51, dove nel 1925 fondarono insieme la Casa d’arte futurista Pippo Rizzo che, sull’esempio di quella creata da Balla a Roma, produsse pitture e manufatti di arredamento futurista.
Vittoria Lojacono in Bevilacqua, dall’eclettico immaginario creativo, moglie di Paolo creò con lui diverse opere, esponendo nelle Case d’Arte futuriste che sorsero in città. Gigia Zamparo Corona, invece, da Udine si trasferì a Palermo e con il marito Vittorio e avviò, “in un clima alla pari” una fiorente attività manifatturiera.
Benedetta Cappa, moglie del capostipite del movimento Futurista, Tommaso Marinetti, lasciò una grande impronta della sua arte nel Palazzo delle Poste.
Rosita Lojacono, pittrice palermitana, firmava le sue opere con la sigla RLoj. Dedita alle arti applicate, si espresse in forma del tutto autonoma e non fu mai legata ad alcuna Casa d’Arte; creò una serie di progetti in settori eclettici delle cosiddette Arti Minori, realizzati poi da qualificate ditte, spesso esposti nelle più importanti mostre nazionali del settore.
Gli anni ’30 videro la presenza in città anche di Ester Mazzoleni, soprano nata in Dalmazia e trasferitasi a Palermo (qui morirà nel 1982 all’età di 99 anni) in occasione delle sue nozze, nel 1925, con un gentiluomo; dopo il matrimonio, l’anno successivo, annunciò il proprio ritiro dalle scene dedicandosi alla pittura.
“Vi sono delle donne che sanno dare lezioni di arte a certi artisti in calzoni” scriveva Domenico Maggiore.
Queste erano Anita Faraci Orlando, Elena Pirrone, Lia Pasqualino Noto e Topazia Alliata. Da ragazza ribelle e moderna, Topazia rifiutò la vita da “Gattopardo“, frequentò l’Accademia di Belle Arti di Palermo e al tempo stesso le lezioni dall’ottocentista pittore Ettore De Maria Bergler e del futurista Pippo Rizzo. Nel ‘tempietto‘ di artisti conobbe i colleghi Guttuso e Dixit, entrambi innamorati dei suoi occhi azzurri.
Lia Pasqualino Noto – recentemente omaggiata con la riapertura della sua casa studio (qui un dettagliato Video Servizio) – tra il 1932 e il 1937 fece parte del famoso “Gruppo dei Quattro” composto da lei, Renato Guttuso, Nino Franchina e Giovanni Barbera.
Maria, Adele e Emma Giarrizzo, praticamente una famiglia di artisti con il padre Carmelo, si distinsero per la loro produzione e Adele, in particolare, partecipò alla VII Mostra del Sindacato Siciliano Fascista di Belle Arti nel 1936.
E poi ancora vogliamo ricordare: Ida Nasini Campanella, pittrice vagabonda che partecipò ad importanti mostre; la pittrice Elisa Maria Baglino; Pina Calì Cuffaro, di lei nel 1934 Pippo Rizzo scrisse: “C’è nella sua opera una nota melanconica tipicamente siciliana e un fuoco nascosto pronto a divampare alla prima scintilla. Ecco perché Pina Calì è una pittrice sincera e sa raccontare con spontaneità senza mai perdere il controllo della sua origine“.
E poi ancora Piera Lombardo Spinnato; Gemma D’Amico Flugì d’Aspermont catanese annoverata tra i pittori della Scuola Romana “felice ritrattista, dona alla figura attraverso i suoi segni una densa e melanconica umanità“; e Teresa Tripoli allieva del pittore Tomaselli.
Il dopoguerra
Nel dopoguerra, infine, fecero parlare della propria arte Sistina Fatta, Sascha Robb Cucchetti, Gemma D’amico e Carla Accardi che con la sua pittura contribuì, dal 1947, all’affermazione dell’astrattismo in Italia (sono celebri le sue serie libere di segni bianchi su fondi neri).
Vogliamo concludere, infine, questa carrellata di donne che hanno lasciato il segno – concedeteci il gioco di parole – e che speriamo vengano ancor di più considerate nel panorama internazionale, con Pina Patti Cuticchio, nata nel 1926, madre di Mimmo Cuticchio, autrice, tra mille difficoltà, dei bellissimi pannelli usati per le rappresentazioni del teatro dei Pupi siciliani, scomparsa nel 2013.