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Scandali

Le eccezioni cambiano la storia

domenica 9 Novembre 2025

Carissimi,

So che può apparire scontato, ma ogni volta che mi capita di dire o pensare che stiamo tornando indietro di quarant’anni, lo faccio con la netta sensazione che ciò che vedo per strada o ascolto in televisione mi confermi questa impressione.

Sono nato quindici anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale: ho avuto la fortuna, come tutti quelli della mia generazione (quella dei nati tra gli anni ’60 e ’80), di non aver mai conosciuto la guerra vera, sebbene abbiamo vissuto sotto la cappa della Guerra Fredda, quel lungo gioco a scacchi in cui le potenze si facevano paura a vicenda, sperando che nessuno muovesse il primo passo.

È stato un grande periodo di pace, che ci ha condotti all’abbattimento del muro, all’apertura delle frontiere, alla nascita di un sogno europeo.

Per una ventina d’anni abbiamo sognato: i nostri giovani viaggiavano, studiavano all’estero, tornavano con una mentalità più aperta, più libera di quella che avrebbero potuto sviluppare restando chiusi nel proprio piccolo mondo.

Io ho sempre creduto nel rapporto umano come strumento per conoscere meglio il prossimo.
Non mi sono mai fidato degli “intruppamenti”, ma delle sensazioni personali.
Ho subito sconfitte, delusioni, strumentalizzazioni; forse, qualche volta, sono stato anch’io un utile idiota, eppure continuo a credere che nell’uomo ci sia del buono, e che condividendo quel poco di buono — come un minimo comune multiplo — si possa costruire una società più giusta, sostenibile e futuribile, per i giovani e per la nostra terra.

Sono sempre andato alla ricerca della qualità della vita, delle piccole comodità conquistate con il lavoro, mai del denaro fine a sé stesso, mi è sempre importato più del decoro, della dignità personale, che dell’apparire, e ho sempre rispettato le regole, convinto che fossero universali.

Poi ho scoperto l’amara verità: sul tavolo della vita non c’è un solo mazzo di carte.
Le regole, troppo spesso, le scrivono i vincitori.

La meritocrazia? Non ci credo più. Non perché sia impossibile applicarla, ma perché ho visto con quanta facilità le regole vengono aggirate, piegate, personalizzate.

Le scelte “ad personam” sono diventate la norma, e le corsie preferenziali un diritto ereditario.

E quando queste ingiustizie vengono scoperte, raramente passano per la giustizia: chi ha beneficiato del sistema resta impunito, mentre a pagare sono solo quelli che arrivano dopo.

Oggi nel nosstro paese è consuetudine che la scoperta di una nefandezza venga usata per regolarizzare il futuro, “da oggi in poi…………..” ma mai per punire chi in passato ha sbagliato, facendo sì che a parità di diritto ci siano sempre accanto due soggetti con trattamento diverso (esempio, vogliamo parlare di pensioni?)

Con quale giustizia?

Oggi ci meravigliamo per il rifiorire degli scandali, se mai questi fossero sfioriti, ma dov’è la meraviglia?
Quello che chiamiamo scandalo è ormai consuetudine, struttura stessa del sistema.
E quel sistema che periodicamente invochiamo di “riformare” è come un lupo che pretende di darsi da solo le regole per proteggere le pecore.

Un vero giudice imparziale, capace di rimettere ordine, dovrebbe essere estraneo a tutto, venire da un altro pianeta, ma poiché questo è irrealizzabile, non ci resta che tornare alla storia: le rivoluzioni raramente arrivano a compimento, cambiano solo i padroni e poi giunge sempre la restaurazione.
I veri azzeramenti dei sistemi malati sono venuti solo con le guerre — guerre volute dai padroni e combattute dai poveri, e i poveri, vincenti o perdenti, sono sempre morti per difendere le ricchezze di chi comandava.

Ecco perché non mi scandalizza più nulla.

L’essere umano sbaglia sempre nello stesso modo, e chi ha sbagliato una volta sarà recidivo.
Le eccezioni cambiano la storia, ma spesso la compromettono.

E’ vero, nessuno è colpevole finché il giudizio non è definitivo — e anche lì bisogna confidare nella qualità del giudizio, ma se vogliamo vivere insieme, dobbiamo accettare le regole e rispettare chi è chiamato ad applicarle, pur con tutti i limiti del caso.

Guardiamo avanti, dunque, e speriamo bene.

Lo dobbiamo a chi, onesto, ogni giorno, con la sua chiave, “da corda” alle città, garantisce che dietro un rubinetto scorra l’acqua, che dietro un interruttore si eroghi la luce e che i servizi funzionino — silenziosamente, democraticamente, per tutti.

Un abbraccio, Epruno.

 

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