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Fino al 3 maggio 2026

Le opere di Jago si svelano a Taormina: l’inaugurazione al Teatro Antico CLICCA PER IL VIDEO

giovedì 4 Settembre 2025

Le opere di Jago si fondono con la storia e la mitologia del Teatro Antico di Taormina. 

Ha attirato centinaia di visitatori l’inaugurazione di “Gesti scolpiti”, la mostra di Jago, organizzata in collaborazione con Aditus e Civita Sicilia, con il sostegno di BAM, visitabile fino al 3 maggio 2026. Fan da tutto il mondo, amanti dell’arte e qualche curioso turista, attirati dal magico momento, si sono immersi, nella serata di ieri, in un’atmosfera unica nel suo genere.

Gli spettatori potranno così ammirare quattro sculture. Le prime tre in marmo statuario, ruotano attorno al tema della mano, simbolo di contatto, creazione e affermazione personale. Si tratta di “Impronta animale”, “Memoria” e “Prigione”, installate all’interno del Teatro. Sorge invece sulla sommità delle tribune del Teatro Antico, con sguardo fiero rivolto verso il mare, la David, opera in bronzo alta 181 cm.

Le parole di Micali

Il primo a salire sul palco è stato il direttore del parco archeologico Naxos-Taormina Orazio Micali, che il giorno precedente aveva seguito al fianco di Jago la fase di installazione delle opere (CLICCA QUI).

E’ Jago che ha scelto noi. Ha proposto – ha spiegato Micali – un incontro tra un’opera che proviene dalla mitologia e dal passato e che vuole incontrare il contemporaneo e proiettare lo sguardo verso un futuro. Con le spalle al passato e lo sguardo verso l’orizzonte. Guarda verso un futuro e si interroga e ci chiede di interrogarci tutti quanti sul nostro essere, sulla nostra presenza, sulla responsabilità che ciascuno di noi ha e quindi vuole che ognuno, attraverso il rapporto con l’opera, apra una riflessione su sé stesso e sulla propria esistenza“.

Subito dopo il direttore ha presentato al pubblico Jago. L’artista si è aperto in una lunga intervista: dagli inizi alla censura della David, fino alle future opere e il ruolo fondamentale di Taormina.

La David tra censura e trasformazione

Dopo aver compiuto un viaggio simbolico intorno al mondo, a fianco della nave scuola Amerigo Vespucci, la David approda a Taormina, portando con sé il peso di una narrazione epica e contemporanea. Jago attinge all’iconografia classica e alla tradizione dei grandi maestri, reinterpretando in chiave moderna il mito di Davide e Golia, per raccontare una storia diversa, ma sempre pregna di coraggio e rivalsa. L’iconografia è riconoscibile nella postura della figura femminile, che richiama il celebre David di Michelangelo, nella fionda e nella pietra che stringe tra le mani. Il progetto della David nasce nel 2021 con un primo bozzetto in argilla realizzato a mano. Da quell’immagine iniziale sono nate diverse versioni in argilla e gesso, fino ad arrivare al modello attuale, tradotto in bronzo attraverso l’antica tecnica della fusione a cera persa. La versione definitiva, scolpita in marmo di Carrara e alta oltre 4 metri, rappresenta la pietra miliare del percorso artistico di Jago, impegnandolo in una vera e propria.

L’opera, però, è stata protagonista di una buffa censura sui social:Ci occupiamo di comunicazione. Il valore dell’arte dovrebbe essere quello di riuscire ad intercettare l’attenzione di chi ci si pone davanti ad un certo punto. Non ci siamo mai vergognati di mettere in mostra quelle che erano le nostre idee. Le abbiamo concepite, le abbiamo tradotte, le abbiamo date una forma e abbiamo utilizzato i mezzi che avevamo a disposizione, che sono quelli che molti di voi adesso hanno in mano e stanno utilizzando per fare raccontare una presenza. Quando ho preso il primo dispositivo mobile ho iniziato ad utilizzarlo come parte del processo creativo, non era un’appendice, era parte integrante della creazione. Per me è sempre stato paradossale, e continua ad esserlo, immaginare di dover censurare un pensiero che è volto alla condivisione per rispettare delle linee guida che non hanno nulla a che vedere con la verità di quel messaggio che ho in testa. Il  tema era quello del capezzolo, cioè io sono contento che l’intelligenza artificiale non riesca a capire la differenza tra un capezzolo vero e un capezzolo di marmo, perché vuol dire che l’ho fatto bene. Bisogna riderci sopra queste cose, ma prendiamole anche sul serio perché ci sono professionisti del settore e giornalisti che invece sono impegnati in un certo tipo di condivisione, di analisi e di racconto della realtà di questa contemporaneità alla quale tutti partecipiamo e non ci possiamo astenere dal vedere perché siamo letteralmente bombardati tutti dalle informazioni. Le immagini possono essere pesanti come le bombe e quindi, dato che i social sono frequentati anche da bambini, bisogna esercitare un senso di responsabilità quando si hanno nelle mani dei mezzi e si decide di scrivere una cosa“.

Il viaggio con l’Amerigo Vespucci non rappresenta solo un momento importate, ma anche una fase fondamentale della statua, che con il trascorrere del tempo in mare, da un porto all’altro, ha subito delle piccole mutazioni. Cambiamenti che ne risaltano l’unicità e la rendono più vissuta. “La David ha accompagnato il giro del mondo nell’Amerigo Vespucci, la nave scuola della Marina Militare, per due anni è stata l’opera che ha caratterizzato il viaggio intorno al mondo e per cui ha visto tutto il mondo. Non ci si deve tirare indietro, anche con profondo imbarazzo, in queste occasioni perché chi sono io per rappresentare l’Italia in giro per il mondo. Però non ho il coraggio di rinunciare a queste opportunità. L’obiettivo della mia vita è utilizzare questo tempo che ancora ho a disposizione per imparare delle cose. Questo è quello che è successo alla David. Ho accolto l’invito e ho immaginato di poter mettere a disposizione questo valore perché intercettava i loro valori. E così siamo partiti per questo giro del mondo. Chi ha potuto apprezzare e vedere da vicino l’opera, oggi è diversa dall’opera che è partita. Perché è un’opera che si è patinata con la brezza che ha raccolto sulla sua superficie in tutti i porti del mondo. Questo è molto bello perché io la ritrovo diversa. La ritrovo vissuta. Ritrovo un’opera matura. Questo mi fa capire anche una lezione per me stesso: bisogna lasciare andare anche le cose, i propri valori, i propri figli, buttarli nel mondo, fargli fare il proprio giro perché quando tornano c’è un sacco da imparare. Se non avesse fatto il giro del mondo, io avrei continuato a pensare che era giusta e perfetta come me l’ero immaginata. Invece ho imparato un sacco di cose grazie al suo viaggio. E questa è una cosa che tu poi, peraltro, fai, non dico spesso, però ti piace farla“.

Il paragone con il busto di Ratzinger?

Una delle opere più conosciute di Jago è il busto di Papa Benedetto XVI, modificato in seguito alle dimissioni di Joseph Ratzinger.

Anche la David, in futuro, avrà lo stesso destino?Ho realizzato questa scultura che è il ritratto del pontefice, allora Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. Era un busto istituzionale che non mi piaceva tanto, perché non avevo la libertà di potermi esprimere. L’opera non è mai finita, come quest’opera. Un giorno sarà la sua fine. Intervenire nuovamente su un’opera per cambiarla era un esercizio prezioso, perché potevo distruggere l’attaccamento che avevo rispetto alla creazione di qualcosa che era stata già posizionata. E’ stato più un esercizio con me stesso, credo vincente. Gli ho dato dei connotati nuovi e mi sono potuto esprimere al livello che volevo“.

Le tre opere in marmo

All’ingresso,  “Impronta animale”, “Memoria” e “Prigione”, non sembrano essere lì per caso, ma posizionate e incastonate in un contesto storico, di tradizione e di cultura.

Ci troviamo in un luogo che bisognerebbe vederlo e viverlo facendo leva sulla memoria dell’entusiasmo dello stupore che si hanno da bambini quando si vede qualcosa per la prima volta. Dobbiamo cercare di recuperare quegli occhi. Poi si cresce, si perde un po’, però ce li abbiamo quegli occhi. Ecco, io ancora ce li ho, mi stupisco. In questo contesto dovremmo stare in silenzio, non utilizzarlo come palcoscenico. In un contesto come questo contesto, che ha un valore infinito e senza tempo dovevamo tentare di fare qualcosa capace di sottolineare quella bellezza e quella memoria. Ho avuto la conferma durante l’installazione. Due turisti che passavano per caso pensavano si trattasse di un’opera che era stata restaurata e che venisse restituita al suo basamento. Ho detto: “Allora l’operazione è riuscita”. Non sto dicendo che è al livello del contesto, però vuol dire che ci siamo avvicinati a quell’idea. All’ingresso ci sono queste memorie che devono quasi sparire. L’intervento in generale è stato complicato, è stato lungo, è stato sofferto però doveva essere silenzioso. Se quando ve ne andrete, girate, credete o avete la percezione che non c’è una mostra vuol dire che è andato tutto bene“.

Dagli inizia a Napoli

Non sono mai stato il tipo capace di innamorarmi delle cose fatte. Ti compri il giocattolo ed è noioso perché è una cosa che qualcuno ha creato e tu stai lì che utilizzi. Dove sta la tua creatività nell’utilizzo? Quel godimento finisce subito. Per me era così e quindi mi divertivo di più a costruire con i fil di ferro, con la carta igienica, con lo scotch. Mi piaceva l’idea che si potessero muovere in tutte le direzioni. Giocavo e mi sentivo libero. Non è cambiato niente. Quelle sono poi diventate le armature, dei modelli in gesso, in argilla. Sia io che mio fratello siamo stati privilegiati e fortunati, non sono stati dei genitori che ti prendono per mano e ti trascinano da una parte perché pensano che il posto dove stanno andando sia quello più giusto per te. Si sono lasciati trascinare. Noi abbiamo trascinato loro e ci hanno sempre assecondato in tutto, in ogni momento della nostra vita, dai più belli ai più bui. Ci hanno osservato e c’erano con grande amore“. Ha raccontato Jago rivivendo parte della sua infanzia e il rapporto con i genitori, presenti ieri in prima fila. Elementi fondamentali per l’avvio della sua carriera.

Ma come nasce il processo creativo di un’opera?E’ una cosa un po’ strana – ha spiegato Jago – è difficile riassumere la genesi di un’idea. Però quando tutti noi ci mettiamo a disposizione delle occasioni, come in questo caso, stiamo attenti a tutto quello che ci circonda. Esercitiamo un certo tipo di comunicazione interiore. Stiamo in ascolto con i nostri movimenti interni. Quando avviene questo e ci educhiamo a questo tipo di atteggiamento, rischiamo di essere percettivi rispetto a delle immagini che arrivano. Quelle immagini magari sono il frutto di una vocina interna che ti dice “Se fai quella cosa, chissà dove vai a finire”. Dietro la genesi c’è questa grande libertà di poter dare fiducia alle immagini che arrivano, che spesso sono sempre, come dire, il riflesso della realtà che vivi. Ad esempio, due notti fa mi sono svegliato perché avevo tre idee e le ho scritte. Una è legata a Taormina. Una cosa seria che racconta di questa contemporaneità e che lo fa in un modo in cui è profondamente legato a questo luogo“.

Da 4-5 lo sculture vive ormai a Napoli, dove ha aperto lo Jago Museum, nel Rione Sanità: “Non me ne pento. Tutti noi abbiamo le nostre idee e le nostre idee sono sempre folli. Prima fai le cose e poi dille. Viviamo nella prova provata che tutto è possibile. Dietro tutto c’è la capacità umana e questo dovrebbe ricordarci che se ci impegniamo abbastanza le possiamo fare le cose e trasformare l’idea in realtà“.

I 22 milioni di dollari rifiutati e l’opera nello spazio

Cogliere le opportunità e pesare il valore delle opere. Il confine è molto sottile. E’ il caso di un ormai celebre episodio, quando Jago rifiutò 22 milioni di dollari per una sua opera.Non si rinuncia per forza a qualcosa, magari si sta proteggendo o valorizzando in relazione ad una prospettiva che è in testa. In fondo quell’opera che non è stata tradotta in altro può essere apprezzata da tante persone. Ci sono dei ragazzi che lavorano e gestiscono uno spazio esplosivo a Napoli, è stata la nostra prima operazione museale e soprattutto ho rispettato altre famiglie. Se dovessi ritornare indietro e darmi un consiglio, rifarei. Mi sentivo orgoglioso nell’essere stato capace di rifiutare. Dall’altra parte avrei dovuto apprezzare il gesto perché era un gesto incoraggiante per i ragazzi, però era più forte la promessa. Oggi quell’opera vale tanto, però sta lì“.

Opportunità colta al volo è invece quella che riguarda “The First Baby”, l’opera spedita nello spazio. Ma come nasce questa idea? Per caso. Ero a New York. Mi ha chiamato un amico produttore di documentari che voleva realizzare un contenuto sul mio lavoro. Non ci siamo mai, però ci siamo visti e mi ha detto che si trovava lì per un documentario sulla preparazione alla prossima missione di Luca Parmitano. Gli ho detto: “Bravo, mandiamo una scultura nello spazio”. Ha mandato un messaggio e ha subito intercettato l’entusiasmo di Luca. Già quella sera avevo immaginato di fare una cosa. Nelle occasioni ti vengono le idee, ma non solo. Bisogna riconoscere l’occasione davanti a te. Se la riconosci devi agire subito, non domani. Avevo preparato un’opera gigante e in realtà poi mi hanno detto che deve essere 200 grammi e quindi l’ho rifatta piccolina. Ero ad Anagni e guardavo il soffitto. In un momento di grande tranquillità mi è arrivata questa immagine della sculturina con la Terra dietro. E’ stato un bel momento, non mi è cambiato niente, nel senso che non mi ha rivoluzionato la vita, ma ho avuto la conferma che nel dare fiducia alle idee e nell’agire immediatamente ti fai un grande favore e rischi veramente di realizzare qualcosa per te stesso“.

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