A trent’anni dalla scomparsa di Leonardo Sciascia, era il 20 novembre 1989, il vuoto umano e culturale lasciato da quest’uomo, che ha segnato non solo un’epoca ma la storia e la società della Sicilia, rimane non colmato.
L’attività
Sia come giornalista che come scrittore, saggista o romanziere poco cambia, o semplicemente come libero pensatore, le sue analisi, acute e puntuali, sono rimaste nella memoria e a monito delle generazioni che sono venute dopo di lui.
Non a caso, proprio in questi giorni, edito da Adelphi è stato pubblicato il completamento delle Opere, curate da Paolo Squillacioti, dell’autore di Racalmuto.
Nelle librerie, infatti, è possibile trovare il tomo secondo, “Saggi letterari, storici e civili”, del secondo volume, “Inquisizioni. Memorie. Saggi”.
Mentre ancora torna alla memoria l’ultima pubblicazione, contenente le polemiche giornalistiche di “A futura memoria (se la memoria ha un futuro)”, che porta fatalmente la data della sua morte.
Libertà di pensiero, onestà intellettuale, rigore letterale e profonda passione per la letteratura, su tutti gli scritti di Pirandello.
Sono solo alcuni dei punti indiscussi su cui si è fondata la vicenda che ha visto Sciascia collocarsi nel panorama della Cultura in senso lato. E da lì non tramontare mai.
Occhi piccoli e acuti, sguardo dritto che non faceva sconti e, immancabile, la sigaretta accesa tra le labbra a bruciare istanti di profonde riflessioni sono, dall’altro lato, i dettagli materiali rimasti nella memoria di chi ha avuto il privilegio di frequentarlo.
“La verità è nella letteratura in quanto basata sulla forza della ragione e del diritto”, amava ripetere.
Lui che si presentava così: “Ho dovuto fare i conti, da trent’anni a questa parte, prima con coloro che non credevano o non volevano credere all’esistenza della mafia, e ora con coloro che non vedono altro che mafia. Di volta in volta sono stato accusato di diffamare la Sicilia o di difenderla troppo. I fisici mi hanno accusato di vilipendere la scienza, i comunisti di avere scherzato su Stalin, i clericali di essere un senza Dio; e così via. Non sono infallibile; ma credo di aver detto qualche inoppugnabile verità”.
L’Italia trent’anni dopo
Povero Sciascia, ci viene da dire, se assistesse alle vicende contemporanee che delineano contorni e confini delle mafie, vecchie e nuove, e soprattutto delle “antimafie” chissà quale conato di malinconico disprezzo proverebbe.
A noi, infine, che umilmente e timidamente, al suo cospetto, ci definiamo giornalisti che, per una mera circostanza anagrafica non abbiamo avuto l’opportunità di incrociarlo in qualche fumosa redazione, rimangono i suoi scritti come patrimonio, su cui la polvere non si posa, e come strumento, potente e intramontabile, di affinamento del pensiero critico.