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L’esercito dei dipendenti regionali. La grande anomalia siciliana

lunedì 7 Agosto 2017
palazzo d'orleans
Palazzo D'Orleans

Chi si intesterà nell’imminente campagna elettorale l’argomento del numero elefantiaco e dell’utilizzo della burocrazia regionale?

Sarà affondato il bisturi della propaganda o ci sarà un ragionamento finalmente adeguato a creare le premesse per cambiare le cose?

E soprattutto, dal momento che i dipendenti regionali, spesso al centro di luoghi comuni, votano, come verranno trattati dai candidati per Palazzo d’Orleans?

La Corte dei conti nel rapporto ‘La spesa per il personale degli enti territoriali’ ha messo in evidenza nei giorni scorsi  l’elevato numero di dirigenti presenti all’interno dell’amministrazione regionale. Se nel 2015 nelle Regioni a statuto ordinario l’incidenza è stata pari a 17,88, il che significa che un dirigente coordina in media circa 18 dipendenti, in Sicilia la cifra è stata 9,08.

Cifre che alimentano perplessità. Ma non sono gli unici paradossi.

All’inizio dello scorso anno l’esercito dei regionali vedeva in campo a Palermo 6.288 lavoratori, e 9142 distribuiti nel resto dell’Isola.

Molte delle strutture nel territorio sono sovradimensionate in assenza di un reale decentramento amministrativo. Di questi 3.073 nei territori delle province. I capoluoghi da soli invece danno lavoro a 5.558 dipendenti.

A Catania e in provincia  ci sono 1.678 dipendenti, 162 dirigenti e 21 uffici periferici.

Nel corpo forestale, esclusi gli stagionali, lavorano 1160 dipendenti e 60 dirigenti.

Nelle biblioteche operano 250 dipendenti regionali, 50 per il Centro regionale Inventario e Catalogazione. 353 nelle Soprintendenze, 580 nei musei e un centinaio nei Parchi archeologici.

Ma il vero problema rimane l’utilizzo, non il numero. Le contraddizioni in particolare riguardano il rapporto con molte delle sedi decentrate che non raggiungono sempre grossi livelli di produttività.

Sul campo rimane inoltre il rebus del riordino degli uffici  dopo l’esodo dei pensionamenti (4580 in un periodo ricompreso tra il 2016 e il 2020)

Il prossimo governo regionale dovrà certamente occuparsi delle soluzioni pratiche dopo che interi reparti rimarranno sguarniti per effetto dei pensionamenti.

Affidare all’esterno i servizi sempre improponibile e assumere, anche con pubblici concorsi,  quasi proibitivo.

Per non parlare dei precari storici, la cui stabilizzazione pende solo in prossimità delle scadenze elettorali e per i quali Crocetta, lo scorso anno aveva addirittura pensato di scomodare un eterno ‘carrozzone’ regionale come la Resais.

L’ultima rimodulazione della dotazione organica è stata del luglio del 2016. All’insegna degli accorpamenti. Le postazioni dirigenziali sono diventate 1439 da 1736 del 2015, 1024 le unità operative di base, 343 i servizi e 72 le aree. Dopo un primo taglio delle postazioni dirigenziali del 30%,   di 622 su un totale di 2mila.

La scala organizzativa va dal collaboratore al funzionario, al dirigente di unità operativa di base e poi di servizio. Un processo amministrativo sempre meno  cartaceo e informatizzato.

Si afferma sempre di più l’esigenza di cambiare il processo di lavoro e renderlo più agile in funzione di schemi prodottivi.

L’età media del dipendente regionale si aggira sui 58 anni. Pochi per andare in pensione, ma molti probabilmente per cambiare modo di lavorare.

Forse da questo dato bisogna ripartire per considerare le soluzioni, anziché parlarsi addosso e porre sempre il solito problema.

Il punto infatti non può essere sempre solo il dipendnte regionale ‘luogo del privilegio’ di un tempo passato e l’accesso o il ricambio generazionale, che rimane una chimera per molti, quanto piuttosto fare lavorare al meglio la risorsa di cui si dispone.

Le piccole rivoluzioni nascono sempre da concetti semplici.

Sono quelle grandi che ci preoccupano.

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