Uno è già partito e va avanti. Ufficialmente. Gli altri due restano in campo, ma potrebbero fare passi indietro (poco probabili) nell’economia di ragionamenti (parola grossa) di coalizione e accordi (schema possibile), che al momento nel centrodestra e nel centrosinistra siciliano però non si vedono.
I tre, inoltre, sono gli stessi di cinque anni fa Cancelleri, Musumeci e Crocetta.
Manco a dirlo candidati a Palazzo d’Orleans. Scarsa fantasia? Ripetitività seriale? Mancanza di protagonisti e facce note? O solo una crisi senza fine dei partiti approdata ormai irreversibilmente anche in Sicilia? Da un lato, il lavoro che ognuno ha portato avanti merita l’occasione di una verifica.
Cancelleri ha guidato le truppe ‘grilline’ mantenendole unite e compatte all’Ars, fatta eccezione per la precoce uscita dal gruppo del vice presidente Venturino. Si è affermato come ambasciatore con la burocrazia regionale, all’interno della quale evita pericolose generalizzazioni negative, e soprattutto, si è sempre fatto trovare pronto all’appuntamento con la guida dell’opposizione pentastellata in parlamento.
Musumeci ha incassato lentamente la sconfitta del 2012, maturata in un mese in cui per il centrodestra non solo in Sicilia si sovrapposero una serie di circostanze non proprio favorevoli (oltre alla spaccatura con Miccichè) svolgendo il ruolo di presidente della commissione Antimafia per oltre tre quarti di legislatura.
Crocetta ha vinto 5 anni fa partendo dal basso e mettendo il Pd di fronte al fatto compiuto. Ha governato con difficoltà senza potersi sottrarre alle contraddizioni di una maggioranza di governo schizofrenica e apertamente contraddittoria e ci ha messo del suo, rimanendo a metà strada tra buoni propositi e pochi risultati.
I partiti, nel frattempo, si compiacciono della loro latitanza.
Da un lato i centristi, non giustificati, ma solo comprensibilmente baricentrici per natura, che oscillano tra la scommessa dem (che oggi non ha un volto e un nome definito) e la rinascita del centro destra, accreditato nel resto del Paese di un trend di crescita, ma che in Sicilia non esce dalla tela di Penelope costruita da Miccichè, che prende tempo giorno con argomenti diversi pur di non chiudere sul leader di Diventerà Bellissima. D’Alia gioca la partita da outsider privilegiato al centro, ma vuole arrivarci dopo che tutte le altre ipotesi siano state ampiamente valutate e possibilmente scartate.
Dall’altro Raciti che nel Pd sa, sin dal primo giorno, di essere stato individuato anche per stemperare il conflitto senza fine tra Cracolici e Faraone e oggi porta sulle sue spalle tutta la responsabilità di un accordo difficile da trovare.
Quello che manca e che toglierebbe gli schieramenti dallo stallo è il ‘Macron’ siciliano. Una figura equidistante dalla politica oltre che dai partiti che annaspano, laico quanto basta, e accattivante per i siciliani. Centrista, ma deciso, socialista, infine, al punto giusto per assolvere gli eventuali complessi di colpa dei kamikaze democrat.
Difficile trovarlo oggi con la Sicilia che brucia, il reddito che scende, e la disoccupazione che aumenta.
Non è un caso che stavolta Beppe Grillo non avrà bisogno di tornare a nuoto.