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Libri: Joseph Pulitzer, “Sul giornalismo” | Recensione

domenica 30 Dicembre 2018
giornalismo

Giornalismo o Propaganda? Verità o menzogna? Chi è il giornalista oggi? Cosa rappresenta? Qual è il suo mestiere? Al servizio di chi lavora?

  Joseph Pulitzer, all’inizio del Novecento, quando si apprestava a realizzare il suo ambizioso progetto di fondare una Scuola di Giornalismo, che solo postumo venne accolto dalla Columbia University di New York, scriveva: «Quale sarà la condizione della società e della politica di questa Repubblica di qui a settant’anni, quando saranno ancora vivi alcuni dei bambini che adesso vanno a scuola? Sapremo salvaguardare il primato della Costituzione, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e l’incorruttibilità della giustizia, oppure avremo un governo del denaro e dei disonesti?»

Oggi più che mai, il giornalismo del Ventunesimo secolo sta attraversando una crisi di credibilità senza pulitzer_004 precedenti. A distanza di oltre un secolo dalla nascita del progetto di Pulitzer sul “giornalismo moderno”, il consumo e la quantità della notizia hanno raggiunto livelli inimmaginabili fino a pochi anni fa, prima dell’avvento dirompente dell’informazione via social di cui usufruiscono la quasi totalità dei cittadini occidentali. La qualità dell’informazione è diventata l’unico argine alla disinformazione, alla propaganda di partito, al condizionamento per fini diversi dal mantenimento della democrazia e della verità. La qualità come unico e imprescindibile avamposto perché, scriveva Pulitzer, «la nostra Repubblica e la sua stampa progrediranno o cadranno insieme».

E allora, perché l’informazione vera, quella che corrisponde ai fatti reali, è così importante in un sistema che vuole definirsi democratico?

Era il 7 aprile del 1904 quando il 32° Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt, voluto dagli americani per ben quattro mandati presidenziali consecutivi, pronunciò queste parole: «L’uomo che scrive, l’uomo che mese dopo mese, settimana dopo settimana, giorno dopo giorno fornisce il materiale destinato a plasmare il pensiero del nostro popolo è sostanzialmente l’uomo che più di chiunque altro contribuisce a determinare la natura del popolo e il tipo di governo che esso deciderà di darsi.»

cover-pulitzer_001Più di trent’anni dopo queste parole, il potente Ministro della Propaganda del Terzo Reich dal 1933 al 1945 e tra i più influenti gerarchi nazisti, Joseph Paul Goebbels, immaginiamo “ispirato” dalle parole di Roosevelt, ideò delle tecniche di propaganda così efficaci e così dirompenti da portare Adolf Hitler al potere in Germania e ad inventarsi il motto «Ripetete una cosa qualsiasi cento, mille, un milione di volte e diventerà verità».

Qualche anno fa, dopo aver letto il saggio “Sul giornalismo” di Joseph Pulitzer, pubblicato in USA nel maggio del 1904 su “The North American Review” e in Italia nel 2009 da Bollati Boringhieri, ne parlai con alcuni miei amici giornalisti: pochi lo conoscevano, nessuno l’aveva mai letto!

Nell’immaginario collettivo italico, “il Pulitzer” rappresenta un importantissimo e prestigiosissimo premio giornalistico e letterario statunitense. Pochi sanno che Joseph Pulitzer, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, fu un grandissimo editore-giornalista-politico e finanziere ungherese-statunitense, che ideò la prima scuola di giornalismo al mondo, realizzata dalla Columbia University nel 1912, un anno dopo la sua morte e venti anni dopo che Pulitzer aveva presentato pubblicamente il suo ambizioso progetto di una “Scuola di studi avanzati di giornalismo”.

Per parlare di giornalismo, oggi bisognerebbe tornare alle origini, tornare a Pulitzer rileggendolo o leggendolo per la prima volta. Se non altro perché servirebbe per rispondere a questa semplice domanda: qual è il confine tra “chi fa propaganda”, notoriamente finalizzata alla conquista ed al mantenimento del potere utilizzando l’inganno e la menzogna ripetuta all’infinito tanto da farla apparire verità, e il “giornalista” di cui traccia un magnifico profilo Pulitzer alla fine dell’Ottocento?

«Un giornalista è la vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato. Prende nota delle vele di passaggio e di tutte le piccole presenze di qualche interesse che punteggiano l’orizzonte quando c’è bel tempo. Riferisce di naufraghi alla deriva che la nave può trarre in salvo. Scruta attraverso la nebbia e la burrasca per allertare sui pericoli incombenti. Non agisce in base al proprio reddito né ai profitti del proprietario. Resta al suo posto per vigilare sulla sicurezza e il benessere delle persone che confidano in lui.»

È quella tracciata da Pulitzer l’identità del vero giornalista che si veste della nobile missione di riferire la verità che osserva e con la quale plasma il pensiero del popolo perché decida il migliore governo possibile nell’interesse comune, per dirla con Franklin Delano Roosevelt.

È tutt’altra cosa, ma non è certamente un giornalista, colui che con l’inganno e con la menzogna, utilizzando tutti gli strumenti che il suo padrone/editore gli mette a disposizione, ripete ossessivamente e ripetutamente delle falsità perché “si trasformino” in verità, per dirla con Joseph Paul Goebbels.

 

 

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