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“Qui ci sono i giardini, dove la vegetazione è velata da tessuti sottili, coprendo le aiuole con drappi di seta indiana! L’auretta che ti porta il profumo dell’ambra; gli alberi carichi del frutto più squisito; Ascolta gli usignoli che cantano dall’alba al tramonto“.
Scriveva cosi Ibn Bāshrun descrivendo un luogo quasi magico per bellezza e incanto, lo stesso luogo di cui rintraccia le fila storiche Piero Longo nel suo ultimo libro “Il sollazzo dello Scibene – Una perla dimenticata“, edito da Qanat.
“Ho scritto questo libro per far conoscere ai palermitani un’altra perla del patrimonio di questa bella fanciulla che era una volta la nostra città“, ci dice l’autore nella video intervista.
Sfogliando le pagine del libro, ricchissimo di fotografie, disegni e materiale dell’epoca che ricostruiscono le diverse evoluzioni e gestioni, è evidente l’importanza di questo monumento che, nella scelta del luogo e nella sua realizzazione, custodisce la bellezza naturale della città e il genio delle dominazioni che si sono susseguite.
Lo Scibene, individuato per la prima volta da un rilievo di Giovan Battista Basile nel 1856 e ripreso da Goldschmidt nel 1898, cominciò ad essere studiato solamente con Nino Basile, siamo intorno agli anni ’40 del Novecento: da allora si potè comprendere in primis il nome che gli fu attribuito.
Poichè è situato ad Altarello di Baida, nei pressi di una sorgente di acqua che irrigava la contrada Sipene, Xipene, si arrivò a “Scibene“.
Edificato in età islamica, successivamente Guglielmo II lo regalò alla Chiesa, diventando così luogo di villeggiatura del vescovo: da qui la presenza della cappella cristiana con una splendida Vergine odigitria, fatta probabilmente da un allievo da Antonello da Messina, che sta andando perduta per incuria e abbandono.
Del monumento, che rappresentava un’oasi di paradiso, come si vede dal materiale fotografico e dai rilievi odierni, oggi non è rimasto quasi nulla e quel poco che ancora resiste è minacciato dalle costruzioni che, da decenni, proliferano intorno mortificandone la maestosità storico-antropologica.
Il libro, infatti, vuole essere principalmente uno strumento per la riqualificazione dello Scibene, simbolo del sincretismo peculiare della nostra cultura, nel suo genere il più antico presente a Palermo, così come sta avvenendo per Maredolce, nell’ottica di farlo riconoscere patrimonio dell’Unesco.