Domenicano! Domenicano! Come nel celeberrimo film di Totò e De Sica a Palermo si rincorre un frate domenicano chiedendo conto e ragione di un anniversario di matrimonio imbarazzante, non solo per i decori piazzati in chiesa ma anche per la coppia che celebrava l’anniversario: due mafiosi, marito e moglie.
Ora se nel film “I due marescialli” il domenicano interpretato da Totò era effettivamente un ladro travestito, il domenicano in questione, parroco della bella Chiesa di San Domenico, è degnissimo del proprio abito.
Fra Sergio Maria Catalano dell’Ordine dei Domenicani è prete dal 2007. Oltre agli studi teologici ha una laurea in architettura e fa un egregio ed importante lavoro pastorale coniugando spiritualità e cultura. Non esattamente il profilo di un don Abbondio o peggio di uno di quei preti ambigui sui rapporti con Cosa Nostra.
E però il domenicano è finito nel tritacarne mediatico, si è scomodata pure la sorella del giudice Falcone, il magistrato ucciso dalla mafia che riposa nella chiesa di San Domenico, per una lavata di capo al frate, reo anche di aver accettato l’offerta da parte di quella coppia purtroppo non come le altre. Ci si è lamentati pure delle “scomuniche che non funzionano” che detta così fa veramente sorridere perché sembra la doglianza da un nostalgico di Tomas di Torquemada e del Malleus Maleficarum (quelli sì che erano domenicani che utilizzavano roghi e torture!).
Una vicenda francamente surreale per una città dove probabilmente l’80% delle attività economiche paga il pizzo, dove le zone d’ombra e di ambiguità sono talmente tante e spesso ben note. Ma probabilmente è più facile mettere in croce un povero frate domenicano. Sì, è molto più facile e soprattutto comodo per lavarsi la coscienza.
Dispiace anche che non si sia levata nessuna voce ecclesiale a difesa dei Domenicani di San Domenico come se il loro comportamento fosse causa di imbarazzo e non la prassi comune di parrocchie e rettorie. Già perché l’infortunio capitato ai Domenicani sarebbe potuto capitare in qualsiasi altra chiesa.
Perché il tema alla fine è un altro e riguarda la Chiesa e l’amministrazione dei sacramenti, la sua azione pastorale e non una presunta indulgenza con la mafia. Se una contestazione può essere mossa alla Chiesa o ai Domenicani è che non si può lasciare la richiesta di una benedizione o di qualsiasi altro sacramento ad un collaboratore che prende nota e fa erogare il “servizio”. La Chiesa non è un bar o un altro esercizio commerciale ma una dispensatrice di Grazia e la Grazia va dispensata come insegna la tradizione con cura riverenza: le cose sante ai santi, come viene proclamato dal celebrante nella maggior parte delle liturgie orientali, al momento dell’elevazione dei santi Doni, prima della distribuzione della Comunione.