Carissimi,
Sono cinquantanni che percorro le stesse strade nella stessa città e quello che da sempre mi salta in mente è la piena considerazione che non sono i fabbricati a cambiare in un contesto che ormai è stabile da quando venne fatto lo sventramento della via Roma ma è la gente che cambia e cambia soprattutto il loro modo di vivere.
Ricordo che da giovane laureato e da Ghostwriter di qualche politico scrissi un discorso per un consigliere comunale sul tema del centro storico, che rappresentava la piaga dell’epoca e che risentiva ancora delle ferite della seconda guerra mondiale seppur fossero passati quasi quarantanni dalla sua fine e viveva dell’abbandono dei suoi abitanti ormai “deportati” verso le zone di espansione periferica.
Bisognava riempire di contenuti un consiglio comunale, non perché fosse vacuo, tutt’altro, ma perché a fronte di grosse personalità presenti c’erano anche modesti consiglieri che magari non avevano il titolo di studio ma avevano tanta voglia di fare e soprattutto di non sfigurare.
Certamente non facevo da Ghostwriter di Sciascia, ci mancherebbe, ma fu allora che proposi per la rivitalizzazione del più grande centro storico d’Europa, il trasferimento delle istituzioni al suo interno affinché portando gli uffici in quei contenitori importanti ma ormai vuoti o minimamente sfruttati sarebbe di conseguenza potuto rinascere la vita attorno a loro, un po’ come si fa quando si innestano delle nuove colture.
Non so se qualcuno ascoltò il discorso dell’amico consigliere, non so se qualcuno lesse successivamente quel discorso tenuto in aula, ma so solo che una ventina di anni dopo l’amministrazione comunale decise di lasciare immobili in affitto e ristrutturare quelli che oggi sono il centro pulsante della municipalità quale (uso le diciture consuete visto che spesso i settori vengono rinominati) la “ragioneria”, il “centro storico”, le “risorse umane”, i palazzi del polo di piazza Marina e via del 4 Aprile. La presenza di certe istituzioni riqualificò certamente alcuni quartieri e con grande evidenza. Non nascondo che per molti palermitani non certo avanti con gli anni fu l’occasione per conoscere certi vicoli e certi contesti familiari ai loro padri e ai loro nonni ma divenuti ruderi e oggetto dell’incuria negli anni.
In una città tutta porto e tutta acqua nel sottosuolo la completa assenza di grosse infrastrutture per la mobilità fece sì che pur affidando tutto al trasporto veicolare di superficie, si riuscisse a trovare un equilibrio anche grazie a quei mezzi pubblici su ruote e ad una loro riorganizzazione.
I tempi cambiano e con loro le mode, cosi dopo le opere di ricostruzione, dopo le grandi opere d’innesto e di incentivazione per acquistare immobili e ristrutturarli secondo comuni direttive, si è fatto in modo che dal rinascente grande centro storico che oltre ai siti di interesse storico come i vecchi mercati popolari, poteva contare su un nascente polo museale, si ritornasse all’idea di una chiusura parziale attraverso (mio parere) una irrazionale opera di pedonalizzazione senza una globale strategia e una progettualità integrata. Ho visto morire i Lattarini attraverso una chiusura di piazze e strade che ancora non sono diventate una vera e propria isola pedonale (come vengono intese nelle città europee). Ma questa è storia di sempre perché un piano regolatore o un qualunque piano o provvedimento di zona non può essere soltanto un esercizio grafico su una restituzione planimetrica.
Ogni iniziativa volta a stravolgere un contesto deve partire da prioritarie opere alternative, dalla costruzione di posti auto, dai parcheggi di interscambio, dai mezzi pubblici elettrici, dalla previsione della pari ricollocazione di attività che poco si sposano con la pedonalizzazione, dai servizi igienici pubblici completamente assenti. Eppure a queste latitudini prima si chiude una strada e poi si pensa alle alternative. Pensate che se tutto venisse fatto all’inverso potrebbe esserci qualcuno contrario alla pedonalizzazione e rivalorizzazione delle zone centrali? Chiudere non deve rappresentare un disaggio soltanto, le strade pedonalizzate non possono essere soltanto location di taverne per una indisciplinata movida che ha scoraggiato tutti coloro che avevano puntato sul ritorno residenziale nel centro storico. Mi fa rabbia il pensare che in questo continuo cambiamento con tutta probabilità non arriverò a vedere il risultato finale e mi auguro solo che la classe amministrativo-politica che ci sarà tra venti anni sappia amministrare questo vero cambiamento e porre rimedio ai tanti errori che nel frattempo con provvedimenti spot saranno intervenuti. L’urbanistica è una scienza seria fatta da Urbanisti. Un abbraccio, Epruno.