Carabinieri del Ros di Catania, coordinati dalla locale Dda, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per 23 persone, nell’ambito di indagini su 23 omicidi di mafia commessi dalla fine degli anni ’80 al 2007.
Gli arrestati sarebbero tutti affiliati a Cosa nostra catanese.
Tra i casi dell’operazione ‘Thor‘ ci sono anche un triplice omicidio, tre casi di ‘lupara bianca’ e il duplice omicidio avvenuto nelle campagne del calatino, di Angelo Santapaola e di Nicola Sedici, commessi nel 2007, delitti per i quali è stato condannato definitivamente Vincenzo Aiello, ex rappresentante provinciale della ‘famiglia’ catanese di Cosa nostra.
Il pentito Squillaci si è autoaccusato di altri 13 delitti e svelati 50
Il pentito Francesco Squillaci, dalle cui dichiarazioni è partita l’operazione Thor, sentito insieme con altri nove collaboratori di giustizia, si e autoaccusato di altri 13 omicidi per i quali non c’erano indagini in corso e per questo andrà a processo. Lo hanno reso noto dalla Procura di Catania sottolineando che ha parlato di almeno 50 omicidi, tra i più importanti della storia di Catania.
Tra questi dell’ispettore capo della Polizia di Stato Lizzio, di Gino Ilardo, di quello degli imprenditori Vecchio e Rovetta.
“Quello di Squillaci – hanno detto i magistrati – è un caso particolare perché ha fatto già 25 anni di carcere e ha deciso di collaborare dopo un percorso molto lungo, permessi premio, collaborazioni con associazioni di vittime della mafia, collaborazioni teatrali ed incontri per rinnegare il suoi passato. I magistrati hanno definito il suo “un caso particolare”.
“Il sistema rieducativo funziona? Quando si parla di mafiosi – ha detto il procuratore Carmelo Zuccaro – sono casi molto rari in cui funziona. Quello di Squillaci si può considerare uno di quelli”.
“Squillaci – hanno detto i magistrati – racconta come loro erano sempre a conoscenza dei blitz ed avevano il favore di numerosi poliziotti, carabinieri e soprattutto della Polizia Penitenziaria. Ha raccontato anche che il carcere di Bicocca era nelle loro mani e che obbligavano il comandante della Polizia Penitenziaria ad adempiere a tutte le loro richieste”.
I magistrati hanno anche ricordato la figura di un brigadiere della Polizia Penitenziaria di bicocca ora in pensione che “ebbe la forza di opporsi a mafiosi che gli avevano chiesto un favore per un trasferimento offrendogli una grossa somma di denaro. Ha rischiato la vita – hanno aggiunto – e ha rifiutato in maniera sdegnata quei soldi in un periodo in cui la corruzione tra le forze dell’ordine era altissima”.