“Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”, niente di meglio della legge di conservazione della massa, elaborata nella seconda metà del ‘700 dal chimico e filosofo francese Antoine Laurent de Lavoisier, riesce a spiegare in modo preciso il problema dell’inquinamento derivante dalla produzione di rifiuti difficili da smaltire. Tra questi la plastica che invade i mari di tutto il mondo ed in particolare il Mediterraneo.
A largo delle coste occidentali della Sicilia, della Sardegna e della costa pugliese, infatti, sono stati identificati circa 2 chilogrammi di plastica per chilometro quadrato. Tale concentrazione è superiore a quella presente nell’Adriatico, 500/800 grammi, e addirittura di gran lunga maggiore di quella rinvenuta nei famosi 5 vortici oceanici di accumulo delle plastiche.
Una vera e propria emergenza per l’ecosistema marino, sollevata in Parlamento da un’interrogazione presentata al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, a prima firma dell’onorevole Lara Ricciatti di Articolo 1 – Movimento democratico e progressista. Nell’atto di sindacato ispettivo la parlamentare marchigiana chiede al Ministro quali iniziative intenda intraprendere al riguardo.
Ogni anno, infatti, vengono prodotte nel mondo più di 300 milioni di tonnellate di plastica ed almeno il 10 per cento di queste finisce negli oceani. “Anche il Mediterraneo – si legge nell’interrogazione – non fa eccezione, ed anzi risulta uno dei bacini maggiormente contaminati come dimostrato in un recente studio pubblicato su Nature/Scientific Reports e frutto della collaborazione tra l’Istituto di Scienze Marine del CNR di Lerici (ISMAR-CNR), l’Università Politecnica delle Marche, l’Università del Salento e Algalita Foundation (California)”.
La situazione è aggravata dal limitato ricambio d’acqua, determinato dal fatto che il Mare Nostrum è sostanzialmente un bacino chiuso, e dall’elevata pressione antropica. Il polietilene e il polipropilene sono i più diffusi nel Mediterraneo occidentale, mentre nell’Adriatico si trovano anche particelle derivanti da vernici sintetiche e da altri composti associati alle attività di pesca. Sostanze che entrano nella catena alimentare marina, dal plancton ai pesci di grossa taglia. Gli ultimi risultati della ricerca condotta dall’Università Politecnica “evidenziano la presenza di microplastiche in almeno il 30% del pescato dell’Adriatico con percentuali ancora superiori in alcune specie”.
Per i ricercatori queste concentrazioni non rappresentano ancora un pericolo per la salute umana, anche se sono un primo campanello d’allarme da prendere in seria considerazione in relazione agli elevati ritmi di inquinamento della nostra società. Una minaccia da combattere su più fronti, principalmente sui piano educativo-culturale, come spesso fa Legambiente, e produttivo, al fine di abbattimento l’impatto ambientale.