E’ Franco Branciaroli, poco prima del debutto al teatro Biondo (sala Grande) della “Medea” per la regia di Luca Ronconi, a delineare l’autentica identità, al limite dell’impenetrabile, del mito che ella rappresenta, “figura di un’irriducibile alterità, pronta a pietrificare chi cerchi di decifrare il suo segreto”.
L’infingimento di una Medea-uomo voluto da Ronconi, che già nel 1996 aveva visto Branciaroli come interprete, nella ripresa di Daniele Salvo, traduce scenicamente l’ambiguità della femminilità come maschera, funzionale al pubblico per “vedere” l’enigma nefasto che il coro, sulla scena, non percepisce.
Il sipario si apre in un’ambientazione anni ’50 (scene originali di Francesco Calcagnini riprese da Antonella Conte) con il lamento, arcaico, della nutrice (Elena Polic Greco) e con video proiezioni, tra viscere insanguinate e folle di persone in bianco e nero, che introducono alle vicende di una Medea che, semplicisticamente, non può essere identificata come “la donna tradita“.
Branciaroli è assolutamente padrone del “pensiero-Medea“: in sottoveste, calzamaglia, trucco e parrucca modula sapientemente le stanze segrete dell’anima con voci e intonazioni diverse per rendere la sua condizione di esule, l’infelicità e l’ignominia che la spinge al sacrificio più alto “unendo l’utile al doloroso“.
E tra file di poltrone da cinema, una scala maestosa che è la via per il palazzo del re e un lettuccio disfatto che non è più simbolo di unione coniugale, Branciaroli/Medea si muove con destrezza attoriale interagendo con le donne di Corinto, il moderno coro di casalinghe (Francesca Mària, Serena Mattace Raso, Odette Piscitelli, Alessandra Salamida, Elisabetta Scarano, Arianna Di Stefano, Matteo Bisegna, Raffaele Bisegna), con Egeo (Livio Remuzzi), Creonte (Antonio Zanoletti) e con Giasone (Alfonso Veneroso) “simpatico profittatore“, colpevole principalmente di aver tradito un giuramento.
“Lo scopo delle regie di Ronconi è mostrare quanto è lontana da noi la tragedia greca, non ci è vicina per niente” ci ha detto Branciaroli e in effetti la pièce, pur nel coinvolgere lo spettatore non lo trascina mai, neanche quando di fronte si trova i due piccoli in abiti insanguinati, nel giudizio unilaterale verso la donna, il cui “sapere suscita o invidia o timore“.
Repliche fino al 4 marzo; sul sito del teatro orari e giorni delle rappresentazioni.