Dagli imballaggi al campo medico, dai vari dispositivi ai cosmetici. In qualsiasi attività o momento della vita umana la plastica è un’amica di famiglia. Considerata per anni indispensabile e il mezzo più pratico, adesso l’impiego eccessivo e spropositato rischia di far soffocare il nostro ecosistema con danni irreversibili.
I rifiuti di plastica costituiscono l’80% di tutto l’inquinamento marino e circa 8-10 milioni di tonnellate di plastica finiscono nell’oceano ogni anno. Alla fine del 2022, secondo dati Unesco, è stato stimato che in Europa vengono annualmente prodotte quasi 60 milioni di tonnellate di plastica. Di queste meno del 30% viene riciclata, il resto va in discarica mentre buona parte viene dispersa nell’ambiente: terreni, argini di torrenti e fiumi, fiumi e laghi.
Dati, report e statistiche hanno più volte acceso i riflettori sulle problematiche che ruotano intorno all’uso e, soprattutto, alla fine che fa la plastica una volta che non serve più. Tali indagini hanno coinvolto anche le autorità politiche, diventando parti integranti delle loro agende. Un’importante svolta l’ha apportata la direttiva europea 2019/904 “Single use plastic”. L’Italia ha recepito la normativa con il decreto legislativo 196/2021, entrato in vigore il 14 gennaio 2022, ma “diversi Comuni siciliani, soprattutto quelli delle piccole isole, hanno, ancora prima del divieto nazionale, posto al bando l’uso ed il consumo di prodotti contenuti in involucri di plastica. Tuttavia, ancora oggi, in Sicilia si utilizza un’ingente quantità di plastica monouso per l’acqua minerale, il packaging dei cibi o le confezioni di tante altre tipologie di prodotti“.
Lo spiega Salvatrice Vizzini, docente di biologia ed ecologia marina presso il dipartimento di Scienze della terra e del mare dell’Università degli studi di Palermo.
La Sicilia, per certi versi, ha dunque fatto da apripista in Italia ma potrebbe anche candidarsi portabandiera del “plastic free” nel Mediterraneo, dove ogni anno sono circa 600.000 le tonnellate di plastiche che finiscono in mare. Un numero davvero elevato che si è ingigantito trasformando il fenomeno in una lenta agonia che ormai si protrae nel tempo, causando danni catastrofici all’ambiente, in particolare a quello acquatico, alla salute umana.
“Numerosi organismi possono essere soffocati o intrappolati dalle macroplastiche. Non va sottovalutata la degradazione a cui vanno incontro nel tempo le macroplastiche in mare, con la loro trasformazione in microplastiche. Le microplastiche – ha chiarito- la professoressa Vizzini – possono essere ingerite dagli organismi marini e alcuni polimeri possono rilasciare sostanze tossiche. Diversi polimeri sono trattati con agenti chimici che vengono poi rilasciati nelle acque e negli organismi. In aggiunta, alcuni polimeri possono adsorbire sostanze tossiche già presenti in ambiente marino, diventando dei vettori ed aumentando la diffusione degli impatti. Alle microplastiche da degradazione vanno aggiunte anche le micro e nanoplatiche provenienti da alcuni prodotti di largo consumo, come i cosmetici, e dagli stessi indumenti umani, che, per le loro dimensioni, possono facilmente transitare nel biota marino. Ci sono ancora molte incertezze sul destino biologico e gli effetti delle nanoplastiche“.
Per comprende come le microplastiche incidano sugli habitat marini, la professoressa Vizzini ha fatto riferimento a uno studio condotto proprio dall’Università di Palermo: “Dati recenti hanno messo in evidenza che l’ingestione di microplastiche è presente nell’80% delle specie marine. Un nostro studio su alcune specie ittiche mediterranee pubblicato alcuni mesi fa sulla rivista Environmental Pollution con colleghi dell’Università di Siena ha evidenziato che la tipologia di alimentazione e il tipo di habitat in cui vivono influenza l’ingestione di microplastiche dei pesci contribuendo all’individuazione di specie ittiche più adatte per il monitoraggio dell’ingestione di microplastiche. In particolare – ha aggiunto – esemplari di pesci in condizioni di salute non ottimali, con una strategia di alimentazione molto generalista e basso livello trofico hanno maggiori probabilità di ingerire microplastiche. Nonostante una relazione diretta tra l’inquinamento da microplastiche e la salute umana non sia ancora stata dimostrata, molti studi stanno rivelando la presenza di microplastiche anche in organi e tessuti umani“.
Una sensibilizzazione sul tema è in atto. Un processo lungo, in evoluzione e che ha tutte la carte in regola per coinvolgere ancora più coscienze. Oggi si è disposti a mettere al bando il monouso, in tutte le sue componenti, ma davvero si disposti a compiere questo totale cambiamento verso un mondo “plastic free”?
“Si è disposti ad accettare nuovi prodotti, confezioni diverse in seguito ad una riconsiderazione del packaging ma si è però meno disponibili a dover pagare di più i prodotti che rientrano in questa sfera di sostenibilità“. Ha sottolineato Salvatrice Vizzini, convinta che “per poter effettuare una corretta transizione, seppur graduale, verso l’eliminazione delle plastiche monouso, i decisori politici dovrebbero porre rimedio al problema imponendo alle aziende produttrici una riconversione anche attraverso delle incentivazioni, evitando che i costi maggiori vadano a gravare sui consumatori“.