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Ricoverato nell'ospedale dell'Aquila

Messina Denaro, si aggravano le condizioni di salute. L’avvocato: “Incompatibili con 41bis”

martedì 8 Agosto 2023
Matteo Messina Denaro

Si sono aggravate le condizioni di salute del boss Matteo Messina Denaro, detenuto al 41 bis nel supercarcere de l’Aquila.

L’ex latitante, affetto da un tumore, è dal giorno dell’arresto in cura all’interno del penitenziario dove è stata allestita per lui una stanza per la chemioterapia. Nelle scorse settimane il capomafia aveva subito un piccolo intervento per problemi urologici ed era però rientrato nell’istituto di pena in giornata.

A confermarlo è stato l’avocato del boss mafioso Alessandro Cerella sostenendo che le sue condizioni “non sono compatibili con il carcere duro” e che “deve essere assistito 24 ore al giorno“. Cerella ha incontrato il boss nel carcere de L’Aquila a fine luglio. “A strettissimo giro – aggiunge – presenteremo istanza per il ricovero ospedaliero“.

Messina Denaro, dice ancora l’avvocato, “assume un po’ di acqua ed integratori ed è molto dimagrito. I medici dell’ospedale dell’Aquila che lo hanno preso in cura da gennaio non lo vedono tutti i giorni e lui ha bisogno di una assistenza giorno e notte da parte di una infermiera“. Per questo, sostiene, deve essere trasferito in ospedale. “Con la mia collega Lorenza Guttadauro, che è sua nipote – conclude il legale – stiamo decidendo la strategia più efficace“.

“Io non mi farò mai pentito“: lo dice senza esitazioni il boss Matteo Messina Denaro interrogato dopo l’arresto dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido. L’interrogatorio in cui il boss nega di aver commesso stragi e omicidi e di aver trafficato in droga, ma ammette di aver avuto una corrispondenza con il capomafia Bernardo Provenzano, è stato depositato oggi. “Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia”. Lo ha detto ai pm nel corso di un interrogatorio Matteo Messina Denaro. Il verbale è stato depositato oggi. Il capomafia ha raccontato che fin quando ha potuto ha vissuto rinunciando alla tecnologia, sapendo che sarebbe stato un punto debole. Ma poi ha dovuto cedere. “Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali. La mia vita non è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata”, ha detto ammettendo la latitanza e di aver comprato una pistola, ma di non averla mai usata e di non aver fatto omicidi e stragi. Ai magistrati, per spiegare il cambio di passo sulla gestione della latitanza il 13 febbraio scorso ha citato il proverbio ebraico: “se vuoi nascondere un albero piantalo in una foresta”. “Ora che ho la malattia e non posso stare più fuori e debbo ritornare qua…“, si è detto dopo aver scoperto di avere il tumore “allora – ha raccontato – mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta, allora se voi dovete arrestare tutte le persone che hanno avuto a che fare con me a Campobello, penso che dovete arrestare da due a tremila persone: di questo si tratta“. Ma, ha precisato, in paese in pochi conoscevano la sua vera identità. “A Campobello mi sono creato un’altra identità: Francesco”. “Giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare”, ha spiegato. Una vita normale per passare inosservato.

“Io non è che volevo offendere il giudice Falcone, non mi interessa... Il punto qual è? Che io ce l’avevo con quella metodologia di commemorazione. Allora, se invece del giudice fosse stato Garibaldi, la mia reazione sempre quella sarebbe stata, perché non si possono permettere di bloccare un’autostrada per decine di chilometri: cosi vi fate odiare“. Lo dice ai pm nel corso di un interrogatorio Matteo Messina Denaro commentando la chat audio in cui, fermo nel traffico per le commemorazioni della strage di Capaci, imprecava. L’audio era stato inviato a una paziente con cui faceva la chemioterapia durante la latitanza.

“Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo…ma con l’omicidio del bambino non c’entro“: lo dice senza esitazioni il boss Matteo Messina Denaro interrogato dopo l’arresto dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, parlando dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito e sciolto nell’acido. Il verbale è stato depositato oggi. “Lei mi insegna che un sequestro di persona ha una sua finalità, che esclude sempre l’uccisione dell’ostaggio, perché un sequestro a cosa serve? Ad uno scambio: tu mi dai questo ed io do l’ostaggio; il sequestro non è mai finalizzato all’uccisione- spiega il boss – Sequestrano questo bambino – quindi io sono come mandante, mandante del sequestro – sequestrano questo bambino, lui (Giovanni Brusca ndr) non dice che c’ero io”. “Ad un tratto lui resta solo in tutta questa situazione, passa del tempo, un anno/due anni, dice si trova davanti a televisione ed il telegiornale dà la notizia di… che lui era stato condannato all’ergastolo per l’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo, ci siamo?” , spiega. A quel punto secondo la narrazione di Messina Denaro, Brusca, fuori di sé per la condanna all’ergastolo per l’omicidio Salvo, decreta la morte del bambino. “Ma… allora, a tutta coscienza – dice Messina Denaro – , se io devo andare in quel processo, che è ormai di Cassazione, devo andare per sequestro di persona. Quindi a me perché mi mettete – non voi, il sistema – come mandante per l’omicidio, quando lui dice che poi non ci siamo visti più?” “Decise tutto lui, per l’ira dell’ergastolo che prese. – conclude – Ed io mi sento appioppare un omicidio, invece secondo me mi devono appioppare il sequestro di persona; non lo faccio per una questione di 30 anni o ergastolo, per una questione di principio. E poi a tutti… cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell’acido e alla fine quello a pagare sono io? Cioè, ma ingiustizie quante ne devo subire? “. I pm tornano a chiedergli se c’entri nella vicenda e lui ribadisce di no.

Matteo Messina Denaro è ricoverato nell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Lo si apprende da fonti sanitarie. Il boss mafioso è stato trasferito dal carcere, dove si trova al 41 bis, al reparto di chirurgia con imponenti misure di sicurezza.

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