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il rapporto svimez

Mezzogiorno in recessione: cresce Pil in Italia ma Sicilia sempre indietro

lunedì 28 Novembre 2022
Torna a crescere il divario fra il Mezzogiorno e il resto del paese sotto la spinta della crisi energetica e dell’inflazione. A rivelarlo il rapporto 2022 di Svimez presentato stamattina alla Camera dei Deputati. Lo shock della guerra in Ucraina ha sicuramente più impattato il Sud che possiede un tessuto produttivo caratterizzato da imprese di piccole dimensioni che devono fare i conti con dei costi più elevati per approvvigionamento energetico. Stessa storia per le spese destinate ai trasporti che equivalgono al doppio di quelle sostenute nelle regioni del nord.
rapporto svimez

Nel 2023 il PIL meridionale si contrarrebbe nel 2023 fino a 0,4%, mentre quello del CentroNord, pur rimanendo positivo a +0,8%, segnerebbe un forte rallentamento rispetto al 2022. Il dato medio italiano dovrebbe attestarsi invece intorno al +0,5%. Il nuovo shock ha cambiato il segno delle dinamiche globali (rallentamento della ripresa; comparsa di nuove emergenze sociali; nuovi rischi operativi per le imprese), interrompendo il percorso di ripresa nazionale coeso tra Nord e Sud. Gli effetti territorialmente asimmetrici dello shock energetico intervenuto in corso d’anno, penalizzando soprattutto le famiglie e le imprese meridionali, dovrebbero riaprire la forbice di crescita del PIL tra Nord e Sud. Secondo le stime SVIMEZ, il PIL dovrebbe crescere del +3,8% a scala nazionale nel 2022, con il Mezzogiorno (+2,9%) distanziato di oltre un punto percentuale dal CentroNord (+4,0%).

In base alle stime Svimez, l’aumento dei prezzi di energia elettrica e gas si traduce in un aumento in bolletta annuale di 42,9 miliardi di

Consumo unitario di luce e gas nell’industia 2019

euro per le imprese industriali italiane; il 20% circa (8,2 miliardi) grava sull’industria del Mezzogiorno, il cui contributo al valore aggiunto industriale nazionale è tuttavia inferiore al 10%.
Le previsioni Svimez segnalano per il 2023 il rischio di una contrazione del PIL nel Mezzogiorno dello 0,4%, un peggioramento della congiuntura determinata soprattutto dalla contrazione della spesa delle famiglie in consumi, a fronte della continuazione del ciclo espansivo, sia pure in forte rallentamento nel CentroNord (+0,8%).

 

Nel rapporto emerge poi un capitolo sul reddito di cittadinanza dal quale si evince che il dato sulle stime di nuovi poveri al Sud e in Sicilia è perfettamente sovrapponibile con quello dei percettori del Rdc e solo in parte interessa i cosiddetti “occupabili“. Per Svimez, senza il reddito di cittadinanza nel Mezzogiorno ci sarebbero stati 750 mila poveri in più. Poco meno dei 764 mila che si stima a rischio povertà assoluta nel 2022. Di questi mezzo milione sono cittadini del Mezzogiorno.

Gli effetti delle misure per contrastare gli effetti della pandemia sono stati positivi anche nel mitigare le disuguaglianze. Senza questi interventi le famiglie povere sarebbero state quasi 2,5 milioni, quasi 450 mila in più rispetto al valore registrato nel 2020 (poco più di 2 milioni), cui corrispondono oltre un milione di persone in meno in condizione di povertà assoluta (750 mila al Sud e 260 mila al CentroNord). Senza le erogazioni le famiglie in povertà assoluta sarebbero state il 9,4% anziché il 7,7%, l’incidenza per le persone sarebbe aumentata all’11,1% anziché fermarsi al 9,4%. In particolare, nelle regioni meridionali, senza sussidi l’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie avrebbe raggiunto un picco drammatico di circa 13 famiglie ogni 100 (13,2% al Sud e 12,9% nelle Isole), che grazie agli interventi cala di 3,4 punti al Sud e 4,5 punti nelle Isole.

La questione femminile

Il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno è molto lontano dalla media europea. In Italia il gap con l’Europa, di circa 10 punti all’inizio del secolo, è ulteriormente aumentato, avvicinandosi ai 15 punti nel 2022.

In Italia sono circa 4 milioni, di cui circa 1,8 milioni nel Mezzogiorno, le donne più o meno vicine al mercato del lavoro ma che non vengono impiegate. Per le donne, i problemi familiari sono tra le principali cause di dimissioni volontarie: nel 2020 oltre il 77% delle convalide di dimissioni di genitori di figli tra 0 e 3 anni è ascrivibile alle donne

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