Progetto Trapani-Birgi, caso di STMicroelectronics, termovalorizzatori e il Ponte sullo Stretto. Su questi e altri argomenti ilSicilia.it ha parlato con Nino Minardo, presidente della Commissione Difesa della Camera.
Onorevole Minardo, il recente annuncio della nascita a Trapani-Birgi del primo centro di addestramento per piloti di F-35 fuori dagli Stati Uniti ha acceso il dibattito. C’è chi parla di una Sicilia che rischia di trasformarsi in piattaforma militare del Mediterraneo. Dobbiamo preoccuparci?
Perché il progetto di Trapani-Birgi è così importante?
“Perché Trapani-Birgi diventerà il primo polo di addestramento per F-35 fuori dagli Stati Uniti, un gemello della base americana di Luke in Arizona. È come avere una “Top Gun” europea in Sicilia. Ma vorrei essere chiaro: qui non arriva un’arma in più, non ci saranno nuovi ordigni, e non bisogna fare alcun parallelo con la Comiso degli anni Ottanta, quando vennero installati i missili Cruise. Si tratta di formazione e addestramento, non di armamenti. Arriveranno piloti e tecnici da diversi Paesi, portando con sé know-how, investimenti e relazioni internazionali. I lavori inizieranno la prossima primavera e saranno completati entro il 2028, trasformando l’aeroporto in un centro d’eccellenza condiviso fra uso civile e militare. La pista sarà ammodernata, gli hangar ampliati, verranno realizzati simulatori di ultima generazione e nuove strutture logistiche. Ciò significa nuove infrastrutture, servizi collegati e un indotto economico che va ben oltre la base. Non parliamo solo di personale in uniforme: le aziende locali avranno la possibilità di inserirsi nella filiera, fornendo manutenzione, logistica, supporto tecnologico. Non ci sono solo i grandi gruppi nazionali o internazionali: anche le PMI siciliane possono giocare un ruolo da protagoniste, offrendo servizi e innovazione. Centinaia di posti di lavoro altamente qualificati daranno prospettive concrete ai nostri giovani. È una sfida farà decisamente crescere il tessuto produttivo del territorio“.
E a Messina, invece, prende forma l’Hub del Mare. Che ruolo avrà per la Sicilia?
“L’Hub del Mare è ormai realtà: il Ministero ha approvato il piano e già dal 2026 Messina ospiterà i nuovi pattugliatori della Marina, destinati a vigilare sullo Stretto e sull’intero bacino centrale del Mediterraneo. Questo significa che la città sarà non solo un punto di passaggio, ma un centro nevralgico per la sicurezza marittima. In parallelo partiranno i lavori di riqualificazione dell’area portuale con nuovi pontili, banchine rinforzate, officine di manutenzione, centri logistici e strutture per la formazione del personale. Non si tratta di un avamposto chiuso, ma di un hub che mette insieme tecnologie avanzate, ricerca universitaria, imprese locali e infrastrutture moderne. È un progetto che guarda al futuro, capace di creare occupazione qualificata, sviluppare i porti e garantire anche una maggiore tutela ambientale e delle rotte commerciali. Messina può diventare un punto di riferimento internazionale: un laboratorio che integra sicurezza, economia del mare e cooperazione civile. In questo senso, è il naturale completamento del progetto di Trapani-Birgi, perché dimostra che la Sicilia può essere protagonista a 360 gradi, in aria e in mare, con benefici tangibili per il territorio“.
Dunque, il futuro della Sicilia nella sicurezza non è solo militare ma soprattutto industriale e tecnologico?
“Esattamente. Non si tratta di nuove basi o di recinzioni, ma di centri di addestramento, innovazione e ricerca che possono diventare motori di sviluppo. Sicurezza, per noi, significa modernizzazione, occupazione, possibilità di trattenere i nostri giovani. La Sicilia deve smettere di sentirsi periferia e iniziare a vivere la sua posizione al centro del Mediterraneo come una risorsa strategica“.
Cosa direbbe ai cittadini che temono una deriva militarista?
“Direi che non c’è nulla da temere. Nessuna militarizzazione, ma semmai opportunità. La Sicilia rimane terra di cultura e di pace, ma può anche diventare una piattaforma di eccellenza tecnologica, un ponte tra sicurezza e sviluppo. Il futuro non si subisce: si costruisce. E noi stiamo scegliendo di costruirlo“.
Oltre al comparto sicurezza, sono altri settori industriali che possono guadagnarci da queste politiche? Ad esempio, che ruolo può avere il caso di STMicroelectronics per la Sicilia?
“Assolutamente sì, non parliamo solo di aerei e navi: la strategia che stiamo costruendo ha ricadute reali per tutta l’industria ad alta tecnologia. Prendiamo STMicroelectronics, nell’incontro recente a Roma con il Governo, l’azienda ha annunciato il ritiro degli esuberi previsti a Agrate e Catania, cosa che ha generato sollievo fra lavoratori e istituzioni. In Sicilia, Catania è centrale: è prevista una fetta consistente di un investimento da 5 miliardi per rafforzare il sito, con l’obiettivo che diventi il polo europeo del carburo di silicio, una tecnologia decisiva per la transizione energetica e la mobilità elettrica. Questa vicenda mostra che le politiche industriali non devono guardare al ridimensionamento, ma a uno sviluppo che leghi sicurezza, microelettronica, ricerca, filiere tecnologiche, energia. E qui vale lo stesso discorso: non solo grandi multinazionali, ma anche le piccole e medie imprese siciliane possono inserirsi in questa filiera, portando competenze e specializzazioni. È un effetto domino: opportunità, competenze, innovazione che si alimentano a vicenda. E alla fine a beneficiarne è il territorio intero, con posti di lavoro stabili e know-how che resta in Sicilia“.
C’è chi sostiene che il vero cambiamento per la Sicilia passerà anche da grandi opere civili, come i termovalorizzatori e il Ponte sullo Stretto. Condivide questa visione?
“Sì, perché il cambiamento deve essere a 360 gradi. Sicurezza, industria, energia, infrastrutture: sono tutti tasselli della stessa strategia. I termovalorizzatori, ad esempio, metteranno fine a decenni di emergenze rifiuti, liberando la Sicilia da un freno allo sviluppo e creando una filiera che produce energia, tecnologia e lavoro. Il Ponte sullo Stretto, invece, è molto più di un’opera ingegneristica: è il simbolo di una Sicilia finalmente connessa, al centro delle rotte europee. Significa meno isolamento, più investimenti, più turismo, più logistica. Significa che l’Isola smette di essere vista come periferia e diventa il cuore pulsante del Mediterraneo. È questo il vero salto di qualità: mettere insieme sicurezza, industria e grandi opere civili in un’unica visione di sviluppo“.