L’assemblea dei tesserati di Diventerà Bellissima ha lasciato un senso di responsabilità enorme ai sostenitori di Nello Musumeci. L’intervento del governatore, l’ultimo di una lunga giornata di lavori, non ha però sciolto il dubbio sulla domanda iniziale: federarsi, ma con chi? La risposta che si attendeva era se il movimento, dalla Sicilia, avrebbe trovato una saldatura con la Lega di Salvini, verso la quale spinge una parte della base.
Per il momento la risposta resta in sospeso, anche se il discorso di Nello Musumeci ha assunto i connotati molto più ampi politicamente, gettando le basi programmatiche di Diventerà Bellissima. “Quale sarà il futuro di questa Isola?”. Questa è la domanda che si è posto dal palco di Cefalù il governatore, cercando di fotografare la condizione della Sicilia. Il presidente ha puntato il dito contro le responsabilità romane e di Bruxelles.
Il governatore nel suo “silenzio del fare” sembra voglia lasciare il segno durante la sua legislatura. Senza guardare a inciuci e geometrie di Palazzo. “Che lo sappiano a Palazzo dei Normanni, possiamo rimanere pure soli, possiamo andare pure a casa. Ma non svenderei mai voi né i siciliani”, ha affermato dal palco rivolgendosi alla platea dei tesserati DB.
Musumeci ha fotografato lo status della Sicilia post Covid e dipinto un quadro in cui le scelte del governo nazionale e quelle dell’Europa non hanno prodotto i frutti sperati per sostenere il reddito delle famiglie e dare una boccata d’ossigeno alle imprese: “Il coronavirus ha lasciato tracce pesanti che difficilmente non verranno cancellate in poco tempo. I segni maggiori sono le ferite sanguinanti del tessuto imprenditoriale. I cittadini che lavorano in nero, i lavoratori che vivono alla giornata. Questi sono i segni pesanti. Abbiamo una economia in ginocchio e si tratta di una economia che già a gennaio scorso era una economia fragile. Noi come governo stavamo cercando di mettere in piedi”.
In questo contesto, Musumeci ha sottolineato l’isolamento della Sicilia: “La nostra terrà è condannata a restare tra le ultime in Italia perché siamo lontani dai mercati che contano e i mercati che contano sono nel cuore dell’Europa – ha detto – La nostra ‘perifericità’ ci ha condannato a restare ultimi. Noi siamo un popolo di consumatori di prodotti che per l’80% arrivano dal Nord. Altro che Sud che vive grazie al Nord. E questo popolo di consumatori non può continuare a vivere alla giornata. Perché la Sicilia non vuole restare periferica. Quello che è un limite deve diventare una risorsa”.
Ed ecco che ha riferito ai suoi sostenitori ciò che è la sua visione politica del ruolo della Sicilia all’interno dell’area mediterranea: “Il nostro futuro è nel Mediterraneo. L’Africa non è più quel continente nero, povero che conoscevamo – ha detto Musumeci – Tra dieci anni sarà un’altra cosa. Il mondo arabo vuole discutere con l’Europa e la cerca qui nel Mediterraneo, in Sicilia. Ma noi non siamo appetibili. Siamo condannati a restare periferia perché non abbiamo ciò che serve. Le grandi infrastrutture”. Quindi la necessità per la Sicilia di essere dotata di infrastrutture degne di questo nome: “Il collegamento stabile tra le due sponde tra Calabria e Sicilia. Le ferrovie veloci, che ci collegano all’Europa. Non abbiamo un porto Hub. Non abbiamo chiuso la catena dell’autostrada che da Trapani porta a Gela. Noi così non abbiamo ruolo. Se queste cose le avessero fatte 30 anni fa, noi non avremmo un disoccupato”. Quindi la stoccata: “Siamo stati condannati a restare un lembo di terra periferica, con un disegno politico cinico voluto da Roma e vagliato da Bruxelles. Le opere di cui vi ho parlato sono di competenza romana. La legge ‘obiettivo’ è del 2002 ma sono rimaste lì. Solo un titolo. Ecco perché abbiamo aperto un contenzioso con lo Stato. Siamo stanchi di vivere così. Non è elemosina ne utopia. E’ la consapevolezza di ciò che vogliamo creare”.
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