Il Tribunale di Catania ha condannato a 18 anni di reclusione Mohamed Alì Malek, il “capitano” tunisino della barca che fece naufragio di fronte alle coste della Sicilia, causando la morte di oltre 700 migranti il 18 aprile del 2015. L’imbarcazione andò a sbattere contro il mercantile King Jacob affondando in pochi minuti, senza lasciare scampo alle oltre 700 persone stivate all’inverosimile.
Quando il King Jacob raccolse a bordo i pochi superstiti del naufragio, Malek e Bihkit cercarono di non farsi scoprire, mimetizzandosi tra i sopravvissuti. Ma le telecamere mostrarono al mondo intero i cenni d’intesa e la complicità tra i due presunti scafisti.
Prima della sentenza, Malek ha tentato di convincere il giudice con le sue dichiarazioni spontanee: “Sono stato due anni e mezzo in Italia e ho un figlio piccolo da un’italiana: la voglio sposare e riconoscere il bambino. E’ la verità. L’ho sempre detto, così come ho subito fatto il mio nome e che ero un passeggero“.
Difesa disperata quanto inutile quella di Mohamed Alì Malek. L’’ultima udienza del processo col rito abbreviato si è svolta questa mattina davanti al Gup di Catania, Daniela Monaco Crea. In quel naufragio si salvarono soltanto 28 migranti e due di loro, ai tempi dei fatti minorenni, si sono costituiti parte civile. Alla sbarra, con il “capitano”, accusato di omicidio colposo plurimo e naufragio era imputato anche il suo “mozzo‘ siriano Mahmud Bikhit, di 25 anni.Per lui la Procura aveva chiesto sei anni di reclusione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il Gup ha stabilito in cinque anni la condanna.
Per entrambi gli imputati è arrivata la condanna per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma il ‘capitano’ è stato ritenuto colpevole anche dei reati di omicidio colposo plurimo e naufragio. Gli imputati si sono sempre proclamati innocenti, sostenendo di essere dei semplici ‘passeggeri’ come gli altri migranti. La Procura di Catania, con i sostituti Rocco Liguori e Andrea Bonomo, oltre alla condanna per i due, aveva chiesto il pagamento di un risarcimento danni di tre milioni di euro. Nel corso del processo il “mozzo” aveva accusato anche lui Malek di essere il “comandante”. Quest’ultimo si era difeso sostenendo di essere un semplice passeggero, di avere visto i componenti dell’equipaggio, ma di non averli individuati tra i sopravvissuti. Secondo l’accusa il naufragio “fu determinato da una serie di concause, tra cui il sovraffollamento dell’imbarcazione e le errate manovre compiute dal comandante Malek, che portarono il peschereccio a collidere col mercantile King Jacob”.
Per il Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, la sentenza di condanna dei due presunti ‘scafisti’ del ‘grande naufragio’ del 18 aprile del 2015 in cui morirono oltre 700 migranti, “afferma due importanti principi giuridici, avvalorati anche da una pronuncia dalla Cassazione, da tempo portata avanti dalla Procura di Catania che per prima ne ha sostenuto la legittimità: la giurisdizione e il riconoscimento delle parti offese”.
Per il capo della Procura etnea, la sentenza “ha riaffermato la legittimità italiana per i delitti di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare commessi in acque internazionali ma con una preordinata richiesta di soccorso in mare da parte dei trafficanti, ed ha sancito la qualità di persone offese, e non di indagati in procedimento connesso, per i migranti tratti in salvo prima dell’arrivo in Italia“.