Pacchi di pasta, soldi, feste di quartiere, promesse. Per la sua campagna elettorale alle comunali di Palermo del 2012 Giuseppe Bevilacqua, personaggio centrale dell’inchiesta che a maggio 2015 ha portato agli arresti domiciliari, oltre a lui, due deputati regionali e un ex deputato, ha utilizzato tutti i metodi possibili. Ma l’impresa è sfuggita per un pugno di voti e così ha cercato di sfruttare questo “tesoretto” per ottenere favori da altri politici. Una spirale di favori che ha portato a processo – comincerà il 20 marzo davanti alla quinta sezione del Tribunale di Palermo – per corruzione elettorale Nino Dina, ex presidente della Commissione Bilancio dell’Assemblea regionale, e l’ex deputato di Grande Sud Franco Mineo. Roberto Clemente, eletto nelle liste del Pid, ha scelto il rito abbreviato e per lui sono stati chiesti dai pm Amelia Luise, Annamaria Picozzi e Francesco Del Bene 3 anni di reclusione.
Il metodo Bevilacqua non era molto dispendioso. “150 euro per trenta voti”, spiegava in un’intercettazione. Praticamente 5 euro a voto. Secondo la Procura, Bevilacqua avrebbe utilizzato per la sua campagna elettorale per le comunali 2012 anche i generi alimentari del “Banco opere di carità” destinate alle famiglie povere di Palermo, all’insaputa dei volontari. Bevilacqua avrebbe regalato pacchi di pasta, oppure li vendeva a prezzi stracciati agli stessi poveri che ne avrebbero dovuto usufruire. Dalle indagini emerse che in un’intercettazione telefonica del 27 luglio del 2012, Giuseppe Bevilacqua racconta alla sorella Teresa che in occasione di un incontro avuto la sera precedente con Dina, questi gli avrebbe garantito che avrebbe fatto avere un “incarico di 15 mila euro a qualcuno della famiglia” con un diploma o una laurea, specificando che l’attribuzione dell’incarico non comportava l’obbligo di svolgere effettivamente la prestazione lavorativa. Mineo, invece, in cambio dell’appoggio di Bevilacqua, avrebbe promesso incarichi alla Regione.