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Occorre rigenerare il sistema politico siciliano per salvare l’Isola

lunedì 5 Giugno 2017
Ars
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“Quando penso a tutte le cose buone che si possono fare, a tutto il male che si è fatto; quando vedo ciò che siamo e ciò che possiamo diventare, niuno sforzo mi pare eccessivo, niuna pena grande. Durerà a lungo questo regno dei mediocri?”.

In questa lettera scritta da Francesco Saverio Nitti a Giustino Fortunato, nel maggio del 1903, possiamo ritrovare un parallelismo con il momento politico che la Sicilia sta attraversando.

Il problema, tuttavia, oggi non è quanto durerà il regno dei mediocri, (si voterà il prossimo novembre), ma come evitare che questo regno dei mediocri possa continuare magari in altre forme tra finti rinnovatori che vogliono cambiare tutto e vecchi conservatori che si mostrano sotto mentite spoglie.

A tal proposito è utile ricordare come si è giunti a tutto questo. Cinque anni or sono venivamo da una sciagurata esperienza politica, segnata da un innaturale connubio tra centro destra e centro sinistra che portò al governo di Raffaele Lombardo con gli esiti che conosciamo. Molti, inoltre, dimenticano che quel governo fu sfiduciato non da un voto parlamentare, né da un partito che lo sosteneva, ma direttamente dal presidente del consiglio Mario Monti.

Il professore era giustamente preoccupato della situazione finanziaria della Regione e dei contraccolpi, che sarebbero stati devastanti sul piano nazionale ed europeo, da un default di una grande regione come la Sicilia, in un momento in cui egli era impegnato a ricostruire un’immagine e una maggiore credibilità nei confronti dei mercati e delle altre cancellerie europee dopo il fallimento, su entrambi i fronti, del governo di Silvio Berlusconi.

Le forze politiche siciliane si trovarono nella confusione più totale, con un centro destra e un centro sinistra alla ricerca di un candidato credibile, problema che si sta anche questa volta riproponendo, e la novità del movimento di Beppe Grillo che faceva il suo esordio sulla scena elettorale regionale.

Mente il centro destra non riuscirà a trovare una sua unità su un candidato e si presenterà diviso alle elezioni, a sinistra, nel clima d’incertezza che regnava, si racconta che un gruppo di notabili e di siciliani che contano si ritrovassero, in quel di Caltanissetta, e per superare l’impasse politica, avesse deciso di lanciare la candidatura del sindaco di Gela Rosario Crocetta, all’insegna di un programma anti mafioso e di una nuova “rivoluzione siciliana”.

E mentre il PD continuava a dilaniarsi in correnti e conventicole, Crocetta era già in campagna elettorale, sostenuto da una buona e ricca propaganda, tanto che alla fine al PD “obtorto collo” non rimase che accodarsi.

Il risultato elettorale fu clamoroso: Crocetta, grazie anche alla divisione del centro destra, è eletto presidente della regione, i partiti e gli schieramenti tradizionali escono dimezzati e il presidente, espressione del centro sinistra, si ritrova senza maggioranza. Il dato, però, più sorprendente è che il 53% degli elettori non va a votare e, dunque, siamo in presenza di un parlamento votato dalla minoranza dei siciliani e molti tra quelli che hanno deciso di andare a votare esprimono un voto antisistema a favore dei 5 Stelle che si affermano come il primo partito.

Vi erano, dunque, molti elementi di riflessione e soprattutto l’esigenza di imprimere una svolta profonda nelle politiche e nei metodi di governo, chiamando il parlamento a svolgere un ruolo centrale per avviare un programma di riforme condivise che riconciliassero la Regione con i Siciliani.

Si è preferito invece continuare con la vecchia politica, galleggiare sulla crisi, utilizzando le poche risorse disponibili rimaste per tornaconti elettorali, sprecarele opportunità delle risorse europee e perfino le ultime opportunità messe a disposizione dal governo nazionale conil patto per la Sicilia.  Una regione nemica delle imprese e dei disoccupati, ma tutta intenta a salvaguardare il vecchio sistema di potere, attraverso l’occupazione “manu militari” di ogni spazio di potere in cui ha prevalso, in continuità con il passato, la fedeltà al capo o presunto tale, alla competenza.

In questo contesto anche le forze politiche hanno rinunciato al proprio ruolo: i Cinque stelle hanno preferito la politica del tanto peggio tanto meglio, sperando cosi di sfruttare il malcontento ai fini elettorali, ma non mostrando cultura di governo, il PD e le altre forze di centro sinistra hanno oscillato tra l’esigenza di una critica severa alle incapacità del governo e la preoccupazione che una crisi anticipata potesse aggravare lo sfascio della Regione e, infine, il centro destra che non riesce a recuperare un’identità comune che solo Berlusconi era in grado di assicurare.

L’esigenza di una svolta è ormai indilazionabile! La Sicilia non si potrà permettere di bruciare un’altra legislatura.

Insieme al futuro della Sicilia è in gioco la sua stessa Autonomia che potremo salvare solo se riscureremo a trasformarla e a rinnovarla, perché conquistata per tutelare i siciliani è divenuta remora e ostacolo per il suo sviluppo.

Vincerà le prossime elezioni chi saprà cogliere questa esigenza, quest’ansia di cambiamento. Ma per fare questo occorre una forte spinta dall’esterno che solleciti e stimoli le forze politiche ad una rigenerazione del sistema politico siciliano. Da soli i partiti non ce la fanno.

Non mi riferisco a una generica società civile, che alcuni incompetenti nei decenni trascorsi, ne teorizzavano la superiorità sulla società politica, come se la politica non riflettesse nel bene e nel male,nei vizi e nelle virtù quello che si manifesta nel corpo sociale.

Mi riferisco alle istanze organizzate della rappresentanza sociale, di quelli che lavorano e producono e ancora credono nella ripresa e nel rilancio della Sicilia, alle competenze e professionalità delle nostre università siciliane, al mondo del volontariato e del terzo settore.

Anche su di loro grava la responsabilità di quello che è avvenuto e di ciò che potrà accadere, superando da un lato estremismi settari e dall’altro accomodamenti subalterni solo per ricavarne qualche briciola rimasta di quel tavolo un tempo riccamente imbandito.

 

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