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“La terra è piena di ombre folli… e la recita è sempre unica”. Franco Scaldati, Enzo Vetrano e Stefano Randisi sono i vertici sui quali poggia solida, a nostro avviso, una bellissima rappresentazione teatrale che li vede protagonisti al Teatro Biondo di Palermo (sala Strehler) nello spettacolo “Ombre folli”.
Poco sposta se il grande autore siciliano, considerato uno dei più significativi poeti del ‘900, non sia più tra i vivi: i suoi testi, fuori dal tempo, emanano sempre luce.
Indiscussa, poi, e sempre più matura è la sensibilità, umana e professionale, grazie alla quale Vetrano e Randisi, interpreti e registi della piéce, riescono a liberare l’anima delle opere scaldatiane.
Alle parole semplici e sublimi, scelte con sapienza e fermate sulla carta nella forma più congeniale di un dialetto forte e inequivocabile, si aggiunge la grazia di un impianto scenico e registico caratterizzato, ancor di più in questo nuovo adattamento che comprende anche “Sabella“, da un’atmosfera di “umanità mistica”.
Il rumore della macchina da scrivere, prodotto da una Lettera 22 appartenuta allo stesso Scaldati, fa da “maschera” al pubblico in sala che, a scena aperta, trova già Randisi sul palco a scrivere nell’aria la storia che, in un monologo alternato e sottotitolato con efficaci intuizioni, accadrà da lì a poco.
A rendere questo spettacolo un capolavoro di ingegno artistico sono tanti elementi che, come accade solo in rarissime circostanze, lasciano uscire nell’azione teatrale qualcosa di invisibile ma tangibile.
Ombre di carne, ombre di luce, ombre create: si manifestano in queste forme gli attori, attraverso il pensiero che evoca immagini, attraverso la scrittura leggibile sul fondo della scena, attraverso i loro corpi che, interagendo con pochi oggetti, raccontano misteri e follie del genere umano.
Senza vergogna, senza pudore, con il coraggio degli sconfitti perché come diceva Scaldati “chi ha la capacità di vivere, di essere totalmente se stesso è inevitabilmente sconfitto…ma la bellezza è degli sconfitti, le loro facce, le loro voci continuano a vivere”.
La storia che alla fine prende vita è quella di due uomini, esempi delle tante “ombre folli”. L’uno, che di giorno lavora come tutti e la sera si traveste per prostituirsi in strada con il desiderio perverso di farsi riconoscere e uccidere poi, con sacrale pietas, i suoi amanti. L’altro è il suo redentore, l’amico d’infanzia, che scoperta questa doppia vita lo forza alla redenzione, fino a renderlo “una stella ingiallita con la bocca truccata”.
Nelle parole pronunciate in dialetto e ripetute, in un cambio costante di ruoli, in italiano c’è come sottotesto un caleidoscopio di emozioni e sentimenti struggenti: c’è un incontenibile amore camuffato, c’è il desiderio, c’è la vergogna, c’è la forza di voler affermare la propria natura, c’è, in definitiva, la legittima volontà di sentirsi vivi.
Nella scena finale, poi, si raggiunge il culmine di questa rappresentazione: la felicità è mangiare mano nella mano un “ascaretto”, perché la bellezza si nasconde soprattutto nelle pieghe della vita.
Il pubblico della prima, emozionato, applaude. Repliche fino al 23 marzo.