E se, alla fine, il sindaco di Palermo di cui non si contano più i mandati amministrativi, l’uomo che sconfisse la Dc di Lima, il fondatore della Rete (e anche un poco disertore di primarie del centrosinistra), si candidasse per un seggio a Strasburgo il prossimo anno?
L’ipotesi, suggestiva, affascinante e potenziale, verrebbe subito bollata da Orlando come dietrologica o Dio solo sa cos’altro, se qualcuno oggi avesse l’ardire di chiederglielo. Anche per questo evitiamo accuratamente di farlo.
Ma il punto è che, analizzando con attenzione i vari passaggi che hanno portato il sindaco palermitano ad aderire al Pd, il primo dato che balza agli occhi è che questa ipotesi, oggi, senza altri elementi a disposizione, non si può confermare, ma quel che appare altrettanto certo, non si può escludere. Anzi, agli occhi di chi conosce fatti e tempi della politica appare anche la più probabile (Si legga a questo proposito l’articolo di Gaetano Cafici su Bloggando Sicilia).
Ogni volta che Orlando ha avuto a disposizione un contenitore di voti adeguato (vedi la Rete europarlamento 1994-1999), ha considerato con attenzione la possibilità di poterne beneficiare con un ruolo attivo.
Se è poi vero che Orlando qualche giorno fa, nel corso della conferenza stampa in cui ha annunciato l’adesione al Pd non ha mancato di ricordare quasi allo stesso modo che i figli so pezzi e core, il fatto che : “il mio partito si chiama Palermo”, è altrettanto pacifico che le ragioni del cuore e le vie della politica fanno giri lontanissimi per un giorno potersi incontrare.
In tal senso nessuno oggi può venire a escludere che proprio in nome dell’amore per Palermo, tra qualche mese, diciamo dopo l’estate, o al massimo in autunno, Orlando possa in qualche modo manifestare una certa stanchezza.
Un fatto che consentirebbe di rimettere in palio la postazione della guida della quinta città di Italia a un centrosinistra, se ancora ne resisterà uno da qui al prossimo anno, e che darebbe spazio alla successione di Orlando candidato al parlamento europeo, riposizionando altri personaggi nel frattempo rimasti a riflettere, per correre alla carica di sindaco di Palermo.
C’è poi il dato del mancato erede. Orlando ha fatto di tutto, riuscendoci, per stroncare il suo “piccolo clone”, Fabrizio Ferrandelli, battuto due volte nel 2012 e nel 2017, e non si è stressato più di tanto per far crescere un successore.
Posto che non l’andrebbe a cercare nelle opposizioni, almeno così si spera, il sindaco di Palermo, che ai sensi dell’articolo 3 della legge 27 marzo 2004 n.78 che regola le incompatibilità con il parlamento europeo, non avrebbe alcun obbligo di dimettersi, potrebbe salutare Palermo nel 2019 con una clamorosa e vincente campagna elettorale che riaprirebbe molti giochi. Una volta eletto, a quel punto dovrebbe optare per il nuovo incarico di parlamentare europeo e addio poltrona di sindaco. Ergo, si tornerebbe a votare per il massimo scranno di Palazzo delle Aquile.
Certo, sempre che da qui a un anno il Pd non abbia un eccessivo affollamento di deputati da ricollocare dopo le mancate candidature di Crocetta, Lumia, D’Alia e Castiglione (questi ultimi due potrebbero andare in carico a liste di centro). Staremo a vedere.