La storia ha dato spunto anche a un film che ha preso il titolo dal nome dell’inchiesta: “Spaccaossa”. L’indagine fece luce su una mega truffa alle assicurazioni per centinaia di migliaia di euro in cui, in cambio di soldi, persone poco abbienti si fingevano vittime di incidenti stradali accettando di farsi spezzare le ossa, appunto, da due bande criminali.
Dai primi arresti – finirono indagate le menti del raggiro, medici complici e titolati di agenzie infortunistiche – sono trascorsi ben 7 anni, ma il processo in ordinario pende ancora in primo grado e c’è il rischio che le lesioni gravissime subite dalle vittime (complici) vadano in prescrizione.
Accade a Palermo dove oggi nel corso dell’ennesima udienza del dibattimento (alcuni indagati hanno scelto l’abbreviato e le loro posizioni sono già state definite con sentenza passata in giudicato) sono stati ascoltati alcuni testi del pm.
Il processo, dunque, è ancora lontano dalla fine: dovranno deporre i testimoni delle difese dei 10 imputati e poi sarà la volta delle conclusioni delle parti. Per la sentenza è prevedibile che occorrano ancora mesi.
Alla prima inchiesta sulla truffa, che risale al 2018 e coinvolgeva 60 persone, sono seguite altre indagini su vicende analoghe. Per l’inaudita violenza degli episodi scoperti la storia è finita sul grande schermo nel 2022.
L’inchiesta di sette anni fa scoprì che le due bande avevano un vero e proprio tariffario degli infortuni. Chi si prestava a farsi spezzare un braccio guadagnava 300 euro, una gamba rotta ne valeva 500. Le persone fermate con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e lesioni gravissime furono 11.
L’indagine partì, a gennaio del 2017, dalla morte del tunisino Yacoub Hadri. L’immigrato si era prestato al gioco e si era fatto spezzare tibia e perone, ma poi era morto per un arresto cardiaco seguito alle fratture. Un decesso apparso subito sospetto agli investigatori che incaricarono un esperto di vederci chiaro. Il responso confermò i dubbi: le fratture non erano compatibili con la modalità dell’incidente che, secondo i testimoni, era stato provocato da uno scontro tra un’auto e lo scooter guidato dalla vittima. Alle vittime le bande promettevano significative quote dei risarcimenti, ma dei soldi garantiti gli invalidi vedevano ben poco.
Le persone coinvolte venivano reclutate tra tossicodipendenti, alcolisti o non abbienti. La gestione del sinistro veniva curata dai criminali che dovevano ricostruire la scena del sinistro (a volte piazzando fisicamente i mezzi sui luoghi, a volte attraverso testimoni compiacenti). Ricostruito il falso incidente, le “vittime” venivano portate in luoghi nella disponibilità dei malviventi, per essere affidati alle “cure” dei più violenti e pericolosi che spezzavano loro braccia e gambe.
“Gli arti venivano appoggiati in sospensione tra due blocchi di pietra o cemento e con violenza, sulla parte dell’arto sospesa, veniva gettata una borsa piena di pesi in ghisa o di grosse pietre, in modo da provocare fratture nette, e possibilmente scomposte (perché davano risarcimenti maggiori). La gestione delle pratiche veniva assunta dai vertici dell’associazione che curavano la presentazione delle richieste di risarcimento e la successiva suddivisione delle “quote”.