Carissimi
In qualunque ambiente di lavoro io sia arrivato, mi sono da sempre dovuto guadagnare la stima delle truppe visto che i colleghi “ufficiali” mi guardavano sempre con la sufficienza di chi ti aspetta al varco, sicuro che tu possa sbagliare o addirittura ti possa stancare. Quindi nel momento in cui, per il ruolo ricoperto, dovevo formare una squadra mi ritrovavo nelle stesse condizioni di Massimo Troisi quando faceva il sogno della guerra addormentandosi tardi.
Sappiate che qualunque sia l’organizzazione pubblica o privata, il potere di alcuni dirigenti viene esercitato (a testa loro) nella capacità di spostare risorse umane. Nel pubblico, non dovendo fare conto con i budget e quindi con il costo che una risorsa umana affidata ha, il solo avere maggior personale rispetto ad un altro, rappresenta potere e prestigio.
Qualunque richiesta di movimentazione veniva avanzata diventava una tragedia, una operazione impossibile seguita ad un pianto per la storica carenza di personale o il sottodimensionamento delle risorse e quindi il “No” era assicurato.
Nella migliore delle ipotesi ti veniva sottoposta una lista di persone (che soltanto nella mente di chi dirigeva, non serviva a nulla, il tutto seguito da una risatina subdola).
Credetemi quando parlo di un problema di classe dirigente ne parlo con cognizione di causa e non con “fantoziana” ironia.
Le risorse umane da sempre si dividono in quelle che fanno e quelle che si limitano a 7.30-14.00 e da quando esiste il budge elettronico non nascondo il sollievo da parte di alcuni dirigenti, nel togliersi la fastidiosa incombenza del controllo del foglio di firma posto sulla loro scrivania.
Accade quindi che le risorse che “fanno“, finiscono per esser messe a disposizione dei sederini famosi o bravi d’ufficio per i quali diventano veri e propri gost-writer, il resto viene abbandonato al proprio destino perchè nessuno ci vuole avere a che fare, poichè malu caratterusu, lavativo, con nomea chiacchierata, o palesemente “incapace” (su questo dovremmo scrivere un libro a parte).
Indovinate quindi quale parte delle risorse mi veniva proposta?
Essendo da sempre un motivatore ho accettato la sfida quando sarebbe stato più bello il non avere nessuna risorsa a cui badare e il risultato finale è stato sempre quello di aver costruito una “squadra di pazzi“, solida, coesa e in grado di produrre risultati, facendo diventare le “mie visioni” (sogni) pratici progetti e subendo il pubblico ludibrio davanti ad affermazioni a posteriori del tipo: “certo, ti scigghisti i miegghiu!” (Ti sei scelto i migliori) con ulteriori cattiverie nel momento in cui qualche sederino famoso me li ha sottatto reputandoli maturi per divenire i prossimi gost-writer.
Non dico nulla di nuovo per molti di voi, avrete vissuto tutti queste esperienze, ma io oggi non voglio vantarmi di qualità particolari che posseggo (alla mia età la falsa modestia è ipocrita), ma voglio affermare il principio che in tutti c’è qualcosa di buono su cui costruire, c’è un fuoco sopito sul quale lavorare sedendosi accanto, c’è materiale per formare l’unica forza che in una organizzazione esiste: “Il GRUPPO“.
Questa magica parola è la grande qualità di tutti i gestori di gruppi umani, il grande allenatore è colui che cucina con gli ingredienti che ha e non quello che sta sempre a lamentarsi perchè il suo organico è incompleto.
Il buon allenatore è colui che scopre risorse seppellite, motivazioni mai sopite ma ormai scoraggiate.
Il buon allenatore è colui che reinventa un giocatore in un nuovo ruolo per coprire una carenza di organico, finendo per fare la sua fortuna.
Il buon allenatore è colui che crea un collettivo dove far sentire tutti utili e non lascia indietro nessuno e questi alla fine credetemi risulterà necessariamente vincente, anche quando (raramente) non dovesse centrare un obiettivo perchè il vero obiettivo sarà la crescita.
Ecco, se diventassi sindaco (ma non è il mio destino), trasferirei in altri reparti operativi tutti coloro che perdono il tempo a costruire schede sulla qualità e sulla meritocrazia di obiettivi stabiliti dal basso o autoreferenziati, lascerei in tutti una speranza di crescita in funzione alle proprie potenzialità e li responsabilizzerei anche in funzione della loro anzianità e conoscenza della macchina pubblica, motiverei, costruirei una squadra che possa trovare orgoglio nell’appartenenza ad una azienda (anche quella pubblica), poi una volta fatto ciò, rivedrei le piante organiche e solo alla fine aprirei a nuovi inserimenti con mobilità e concorsi.
Un leader che parla male dei suoi collaboratori, un amministratore che parla male dei suoi impiegati è destinato a perdere, così come un allenatore che spezza il suo spogliatoio.
Palermo è chiamata a grandi sfide e se per una volta ad iniziare da questo fine settimana la differenza la facesse “il buon allenatore“, “il collettivo” e il “sacrificio di tutti anche gli scarponi” che a quel punto scarponi non sarebbero più, ma “eroi“?
Pertanto valorizziamo ciò che abbiamo e se proprio vogliamo cambiare qualcosa, partiamo dalla costruzione di una classe dirigente che sappia allenare e motivare.
Fatemi sapere come andrà a finire. Un abbraccio, Epruno.