“Perché sì, serve più controllo, più presenza, più attenzione. Ma lo sappiamo tutti: non basta. Non possiamo pensare che basti l’esercito, la repressione, la paura. Una città cresce solo se riesce a educare, non solo a punire. E allora bisogna avere il coraggio di guardarsi dentro, tutti — istituzioni, politica, famiglie, scuola, associazioni. Perché questa violenza non nasce dal nulla: è il frutto di assenze, silenzi, indifferenze. È la conseguenza di una città che spesso lascia soli i suoi ragazzi, che non offre alternative, che parla di “opportunità” ma non sempre le costruisce davvero”.
“Come rappresentante delle istituzioni, sento il dovere di dire che non possiamo limitarci a reagire quando è troppo tardi. Serve una sinergia vera tra Comune, Regione, scuole, parrocchie, forze dell’ordine, centri giovanili. Servono politiche sociali e culturali forti, non solo emergenziali. Serve ricucire il tessuto umano di Palermo, quartiere per quartiere. E serve, soprattutto, una città che torni comunità: che si prenda cura dei propri figli, di tutti i figli, anche di quelli che non sono i nostri”.
“Perché la politica non può sostituirsi ai genitori, ma neppure i genitori possono farcela da soli. Abbiamo bisogno di ritrovare un senso collettivo, di tornare a guardare i nostri ragazzi non come un problema ma come una responsabilità comune”.
“Io non ho risposte facili. Ma so che ogni volta che un ragazzo muore, è tutta Palermo che perde un pezzo di sé. E questo, da padre prima ancora che da politico, non posso più accettarlo in silenzio”.