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La recensione del film “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese (2016) entrato recentemente nel Guinness dei primati per il numero di remake che ha avuto.
PREMESSA
Ho visto il film di Paolo Genovese, “Perfetti Sconosciuti”, il secondo o il terzo giorno di proiezione nelle sale italiane! Era il mese di febbraio del 2016. Andai al cinema da solo e me lo gustai tutto d’un fiato. Quando i titoli di coda cominciarono a scorrere pensai: «Se questo Film stasera l’avesse visto Woody Allen si sarebbe mangiato le dita e senza dubbio, ad alta voce, avrebbe gridato: “Shit! How the heck did I not think about it first! This is a masterpiece of Movie! Work of contemporary art! A neo-realist film that perfectly reflects the modern time! It’s me that normaly does these kind of movies! But who is this Paolo Genovese who made a film so original and unique, in my style?”. Ma questa volta, caro Woody, questo “manipolo di italiani” ti ha fregato! Sono stati straordinari! È questo che pensai allora!».
Oggi – 25 luglio 2019 – sull’Ansa e in moltissimo magazine di cinema, leggo che “Perfetti sconosciuti” di Paolo Generose ha battuto il record mondiale dei film con più remake della storia del cinema di tutti i tempi, entrando di diritto nel Guinness dei primati! Allora ho pensato di scrivere queste due righe e di consigliare ai lettori di questo magazine, di vedere quest’opera d’arte cinematografica italiana durante una delle belle serate di quest’estate, perché è un film molto interessante e perché rispecchia i nostri tempi e questo periodo storico in particolare.
INTRODUZIONE
Il film di Paolo Genovese è un capolavoro che si avvale di un cast di attori bravissimi e talentuosissimi, professionisti di altissimo livello che nulla hanno da invidiare alle Big Star hollywoodiane! La sceneggiatura è un capolavoro, scritta a più mani, e forse per questo motivo raggiunge vertici di brillantezza e genialità che ultimamente si vedono raramente in un film italiano: la “Creatività di gruppo” è sempre unica e strabiliante, non bisogna certo scomodare Wilfred Ruprecht Bion (1897-1979), notissimo psicoanalista freudiano del secolo scorso, che ne ha fatto una teoria psicodinamica originalissima ed efficacissima, che esalta straordinariamente e giustamente il lavoro di Gruppo quale strumento creativo ed assai originale!
A questo punto bisogna citarli questi talentuosissimi sceneggiatori: Filippo Bologna, Paolo Costella, Paolo Genovese, Paola Mammini, Rolando Revello.
Ma tutto questo non sarebbe bastato se il Casting non avesse scelto una “Squadra di Attori” bravissimi – non la chiamo “Cast di Attori” volutamente! – che hanno recitato la sceneggiatura con la stessa qualità “artistica” di come giocava al pallone il Barcellona di Guardiola: ritmo, sintonia assoluta, strategia, velocità, intesa, concentrazione, talento, passione, insomma, una narrazione filmica che non ha nulla da invidiare, per il pathos e le emozioni che trasmette allo spettatore, al fantastico Concerto, che potremmo immaginare, di Wolfgang Amadeus Mozart “Concerto n. 23 per pianoforte e orchestra K. 488”, con al Piano Rudolf Serkin, e la Direzione dell’Orchestra affidata a grandissimo Claudio Abbado.
Ma qui la “Squadra di Attori”, “l’Orchestra di Attori” se vogliamo, è tutta italiana e sono tutti dei fuoriclasse assoluti, che se fossero dei calciatori verrebbero valutati decine e decine di milioni di euro. Eccoli: Kasia Smutniak, Marco Giallini, Valerio Mastrandrea, Anna Foglietta, Giuseppe Battiston, Edoardo Leo, Alba Rohrwache.
Il Film “Perfetti sconosciuti” è uno straordinario esempio di lavoro concertato da più “cervelli-italiani-non-in-fuga”, è questo dà ancora più valore a quest’Opera d’Arte Cinematografica che dalla sua uscita ha riscosso un successo internazionale con pochi precedenti – bisognerebbe ritornare alle produzioni italiane dei grandissimi registi della seconda metà del Novecento – che non ricordavamo dai tempi di “Nuovo Cinema Paradiso” (1988) di Giuseppe Tornatore, Oscar 1990 come miglior film in lingua straniera; o dai tempi de “La Vita è Bella” (1997) di Roberto Benighi, Oscar 1998 come miglior film in lingua straniera.
Mi scuso pubblicamente con Paolo Sorrentino se non lo cito in questa prospettiva, Artista che ammiro e amo tantissimo come scrittore, come sceneggiatore, come regista, e che secondo me è un Genio dell’Arte cinematografica italiana, ma il suo bellissimo e straordinario Film “La Grande Bellezza” (2013), che ha vinto l’Oscar 2014 come miglior film in lingua straniera, non ha raggiunto quella risonanza mediatica e culturale internazionale che hanno raggiunto Tornatore prima e Benigni poi con i rispettivi film citati!
RECENSIONE
Il film racconta la storia di un gruppo di vecchi e consolidati amici che si ritrovano una sera a cena per passare una bella serata insieme. Ad un cero punto uno dei commensali, Eva, nel film la bravissima Kasia Smutniak, propone un gioco che richiama il “gioco della bottiglia della verità”: gli amici si mettono in cerchio, e a turno, in un senso di rotazione, ognuno dei partecipanti ruota la bottiglia e quando si ferma dovrà fare una domanda “privata ed intima” alla persona del gruppo verso cui è diretta il collo della bottiglia, che non potrà esimersi dallo rispondere con sincerità svelando particolari anche intimi e imbarazzanti!
La sceneggiatura immagina un altro interessante gioco, che trasmette allo spettatore che empatizza con i protagonisti, emozioni da thriller psicologico: “il gioco del cellulare” che va messo sul tavolo in cui si sta cenando, e quando suona si risponde col viva-voce, ovvero, si legge il WhatsApp, il Messenger o l’SMS che arriva! Genialità assoluta! È questo il fulcro della narrazione, delle dinamiche assolutamente imprevedibili e pathos-logiche che emergono dal momento dello squillo del primo cellulare che lancia, come un dardo dell’antica Roma, un’emozione fortissima che arriva dritta dritta al cuore dello spettatore!
Quello che accade durante la narrazione filmica, che lo spettatore vedrà, vivrà empaticamente, subirà finzionalmente come vittima una volta, come carnefice la volta successiva, è reale e fortemente incisivo perché la brillante sceneggiatura tratta un tema attuale e quotidiano: siamo prigionieri inconsapevoli di una scatoletta alla quale abbiamo affidato, senza porre alcuna condizione, la nostra vita e il nostro destino!
Ma il tema che la sceneggiatura mette in evidenza è al contempo anche un altro: viviamo in un periodo storico dove ognuno di noi ha una “second life”, come direbbero gli americani che su questa questione da tempo portano avanti ricerche e studi interessantissimi! In sostanza e in breve si tratta di una “vita virtuale parallela” alla “vita reale e quotidiana” che tutti noi esseri umani terrestri viviamo in questo mondo con i suoi problemi, con le sue angosce, con le sue ansie, con i suoi successi e con i suoi fallimenti lavorativi, familiari e relazionali.
Alla “second life” non appartengono queste dimensioni emozionali negative e stressanti. La “second life” fa vivere alla persona che vi si immerge, una “dimensione protetta”, anche se virtuale, che forse ed in un certo qual modo, gli dà la forza e la consapevolezza di “sopportare” una “vita reale e quotidiana” altrimenti insopportabile!
Allora le domande che dovremmo porci sono: non è che questa forma di vita virtuale parallela, della quale tutti noi, partner, mariti, mogli, compagne, compagni siamo perfettamente conoscitori e consapevoli, oggi più che a sfasciare le relazioni non serva, invece, entro certi limiti, a salvaguardarle e proteggerle?
Non è che questa forma di vita virtuale parallela, noi esseri umani contemporanei che viviamo il mondo delle nuove tecnologie comunicative e relazionali, la utilizziamo egoisticamente a nostro favore e la disveliamo e la mettiamo a nudo con estremo cinismo solo quando vogliamo che la nostra relazione abbia una fine subitanea?
Non è che questa forma di vita virtuale parallela fa comodo ad entrambi i partner che sanno perfettamente che ognuno di loro vive una dimensione virtuale che stranamente solo se “non disvelata” alimenta la loro relazione e la fa andare avanti senza il rischio di drastiche rotture che sarebbero luttuose e assai dolorose per entrambi i partner?
Oppure noi esseri umani del Ventunesimo secolo siamo così ingenui che non immaginiamo nemmeno che il nostro partner possa vivere un’altra dimensione virtuale insieme a quella che quotidianamente condivide con noi nella «grazia di Cristo avendo promesso di esserci fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarci e onorarci tutti i giorni della nostra vita.»?
Detto questo, vi auguro una buona visione… e per chi non avesse visto ancora questo film, di vederlo questa estate perché certamente ne vale le pena.
Perfetti sconosciuti
Link:
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Andrea Giostra
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