La situazione dei 18 pescatori mazaresi comincia ad essere preoccupante.
Dopo più di tre mesi dell’avvenuto arresto non si intravede ancora alcuno spiraglio per la loro liberazione.
Non è la prima volta che pescherecci ed equipaggi sono sequestrati per presunte violazioni delle acque territoriali che i paesi rivieraschi si sono arbitrariamente assegnate, ma è la prima volta che un sequestro dura così a lungo, mentre in precedenza si era sempre concluso nel giro di pochi giorni o di qualche settimana.
La spiegazione di questa diversità, probabilmente, dipende dal fatto che in occasione di altri sequestri il governo italiano trattava con degli Stati, mentre in questo caso non siamo in presenza di uno Stato, ma di bande tribali che si contendono il dominio di un territorio che una volta si chiamava Libia, una delle quali, comandata dal generale Khalifa Haftar, è stata l’autore dell’arresto dei nostri pescatori.
Tutto questo è avvenuto per la sciagurata iniziativa della Francia di Sarkozy che ha destabilizzato quel paese, favorendo l’eliminazione del presidente Gheddafi che, dopo una fase di complicità con il terrorismo, si era convertito a una politica di equilibrio e di amicizia con l’Occidente, oltre ad assicurare un equilibrio nella precaria situazione del Medio Oriente.
Gheddafi aveva ristabilito, in particolare, ottimi rapporti con l’Italia nonostante i precedenti burrascosi. Chi non ricorda i missili lanciati contro Lampedusa… Questo rapporto di amicizia, anche sul piano personale con il presidente del consiglio di allora, Silvio Berlusconi, con le conseguenti e proficue ricadute economiche, dava fastidio ai francesi che, tolto di mezzo Gheddafi, si proponevano di sostituire la presenza italiana in Libia.
Oggi la Libia è in pieno caos con un sedicente governo di unità nazionale, presieduto da Al Sarraj e riconosciuto formalmente dalle autorità internazionali. Che, però, non è riuscito a unificare il paese, mentre il suo rivale Haftar, spalleggiato da Francia e Russia, continua a conquistare nuove porzioni di territorio.
Ecco perché alla luce di queste considerazioni il sequestro del natante e l’arresto dei pescatori, non effettuato da milizie del governo legittimo, si presenta come un atto di pirateria.
In questo contesto non dubitiamo che il governo italiano sia impegnato a risolvere questa grave situazione e forse il silenzio richiesto era giustificato per favorire la soluzione del problema, ma dopo questo lungo periodo di detenzione forse è giunta l’ora di alzare la voce per porre fine a questa intollerabile situazione.
D’altronde il Premier Conte dovrebbe vantare buoni rapporti con Haftar per averlo ricevuto a Palazzo Chigi nel tentativo, in verità fallito, di raggiungere un accordo con Al Sarraj.
Dalle poche notizie che trapelano pare che il sequestro abbia avuto lo scopo di ricattare il governo italiano nel richiedere uno scambio tra i pescatori e alcuni scafisti arrestati dalle autorità italiane, confermando così un rapporto stretto tra le milizie libiche e i mercanti di essere umani.
In ogni caso è tempo di attivare tutti gli strumenti, le relazioni dell’Italia con gli altri paesi arabi. l’intervento dell’ONU e dell’Unione Europea, chiedere l’aiuto di Usa e Russia, al fine del rilascio immediato dei nostri pescatori che finora non sono accusati formalmente di niente, né si parla di processo.
Il vescovo di Mazara, Monsignor Mogavero, che è stato molto vicino alle famiglie dei pescatori, in un momento così difficile, ha perfino invocato, per porre fine a questa scandalosa situazione, l’invio dei corpi speciali.
A tal proposito vi è un precedente storico, allorché le Brigate Rosse nel gennaio del 1982 sequestrarono il comandante della Nato in Italia, il generale James Dozier.
Dopo infruttuose trattative e più di quaranta giorni di prigionia , il presidente del Consiglio di allora, il repubblicano Giovanni Spadolini, fece intervenire i NOCS, un gruppo speciale della polizia di Stato, che irruppero nel covo dei brigatisti, liberarono il generale senza alcun spargimento di sangue, nonostante un brigatista tenesse una pistola puntata sulle tempie dell’ostaggio.
La brillante operazione ricevette anche i complimenti del presidente americano Ronald Regan, da poco insediatosi alla Casa Bianca.
Appare, però, improbabile che il governo italiano sia in grado di ripetere quella esperienza, che aveva il vantaggio fondamentale di svolgersi nel territorio italiano.
La proposta di monsignore Mogavero è tuttavia indicativa dell’esasperazione che i familiari e quella comunità stanno vivendo.
È tempo, invece, di organizzare una grande mobilitazione popolare, far diventare questa vicenda un caso nazionale e internazionale per costringere i rapitori a liberare gli ostaggi .
Il presidente della Regione, a parte l’encomiabile e concreto atto di solidarietà verso le famiglie dei pescatori, farebbe bene, se non l’ha giàfatto, ad andare a Roma, recarsi dal ministero degli Esteri, informarsi, con la dovuta riservatezza, su come stano realmente le cose, e vedere in che modo la Regione siciliana può dare il suo contributo per far tornare a casa i nostri concittadini.