Dieci involucri di colore giallo, disposti su due file a terra davanti a una nave che ha il nome “Medinea“, lo stesso di quella sequestrata dai libici di Bengasi e il cui equipaggio, insieme a quello del peschereccio “Antartide“, è da 22 giorni nelle mani del generale Khalifa Haftar. Nelle stesse ore in cui le famiglie dei pescatori di Mazara del Vallo sono a Roma per cercare di incontrare il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
Il generale cerca di “incastrarli” e aumentare la posta del negoziato con Roma mettendo sul tavolo l’accusa di traffico di droga. Un’altra foto colloca alcuni involucri – dieci anche questi, probabilmente gli stessi – all’interno della nave, e sullo sfondo le cassette per contenere il pesce.
Gli equipaggi furono sequestrati la sera del primo settembre a 38 miglia dalle coste libiche, all’indomani di una visita in Libia fatta dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per suggellare l’accordo tra il presidente del consiglio riconosciuto dall’Onu, Fayed Al Sarraj e il presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh.
Da allora i 18 pescatori si trovano nel carcere di El Kuefia, a 15 km a sud est da Bengasi. Sin dall’agguato la vicenda viene monitorata dalla Farnesina e dall’intelligence. “Ci accusano che hanno trovato droga a bordo“, aveva detto in una telefonata il capitano Pietro Marrone durante una conversazione telefonica in viva voce, a margine di una diretta televisiva.
“È chiaro che vogliono alzare l’asticella“, aveva affermato nella stessa conversazione l’armatore del Medinea, Marco Marrone. Haftar ha fatto sapere che i pescatori non verranno rilasciati se non in cambio della liberazione di quattro calciatori libici, condannati in Italia a 30 anni di carcere e tuttora detenuti con l’accusa di essere tra gli scafisti della cosiddetta ‘Strage di Ferragosto‘ in cui morirono 49 migranti, in asfissia nella stiva di un’imbarcazione.
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