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Processo “Ndrangheta Stragista”, Graviano non sostiene l’interrogatorio: “Mancano 16 intercettazioni”

lunedì 4 Maggio 2020

L’udienza a Reggio Calabria del processo “Ngrangheta Stragista”, la sorte volle che proprio oggi cadeva a fagiolo in contemporanea della querelle tra l’ex pm di Palermo Nino Di Matteo e il ministro Bonafede. Dissidi e dichiarazioni al vetriolo che hanno come sfondo non solo la poltrona del Dap che è stata da pochissimo rimpiazzata dall’ex Procuratore di Reggio Calabria Dino Petralia ma anche da una sfilza di scarcerazioni di mafiosi, seguite a roventi polemiche soprattutto da parte di chi ha perso un proprio familiare per mano di cosa nostra.

Ma tornando all’udienza in cui il principale protagonista è Giuseppe Graviano, il boss palermitano è imputato di associazione mafiosa e strage insieme al capomafia di Melicucco Rocco Santo Filippone. Il referente calabrese per la presunta trattativa Stato-mafia, a processo con Graviano per l’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo, è ad oggi ai domiciliari. ll mammasantissima calabrese Filippone sconta la sua pena a casa della nuora, nel torinese.

La giornata di oggi

Nulla di eclatante oggi in Aula. Da tempo si aspettano delle nuove dichiarazioni da parte di Graviano che ritiene imprescindibile ascoltare prima le sue intercettazioni con Umberto Adinolfi prima di continuare a sottoporsi all’esame.

Quest’oggi nessun problema al lettore in dotazione del carcere di Terni. Ma stando alle parole dell’avvocato difensore di Graviano, Giuseppe Aloisio: “Anche questa mattina ci sono state delle problematiche. Mancavano delle intercettazioni che non sono state consegnate. Sedici conversazioni. Proprio per questo l’esame non si poteva sostenere”.

Assenti giustificati tutti i testi della difesa: tre collaboratori di giustizia  (Santino Di Matteo, Robertò Mandalà, Salvatore Spataro). Non presenti nel banco dei testimoni anche  il generale dei carabinieri Marco Minicucci e il Direttore centrale anticrimine della polizia di Stato, Francesco Messina, che nei primi anni ’90 erano impegnati nella cattura dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano.

Silenzio parla Graviano

Nelle udienze del processo che si sta tenendo a Reggio Calabria che ha preso il nome dell’ordinanza che l’ha generato, ‘Ndrangheta stragista, hanno visto risaltare le dichiarazioni spontanee del boss Giuseppe Graviano, soprannominato dai suoi collaboratori “madre natura” e boss di riferimento del quartiere palermitano di Brancaccio (ma non solo) oltre che fedelissimo di Totò Riina. L’impianto accusatorio della procura di Reggio Calabria nel processo vede come protagonista la ‘ndrangheta, al pari di Cosa Nostra, nell’attacco allo Stato tra il 1993 e il 1994 in quella che fu definita la stagione delle stragi continentali con gli attentati di Firenze, Milano e Roma. Graviano per molto tempo, e solo con qualche excursus dichiarativo sibillino in altri processi, non aveva mai chiesto di essere interrogato. Ma dal 23 gennaio 2020 ha cominciato a rispondere in video conferenza alle domande del procuratore Giuseppe Lombardo

L’intreccio e il Covid-19

Dichiarazioni che per molti addetti ai lavori si intrecciano con le polemiche che in questo periodo di emergenza coronavirus stanno emergendo attraverso la figura del Capo delle carceri. La Bufera che ha investito anche il ministro Bonafede dopo le dimissioni di Francesco Basentini continua a suscitare clamore a seguito delle dichiarazioni di Di Matteo.

Il Dap e i suoi dialoghi

Un caso analogo a quanto pare risale ai primi anni novanta tra Nicolò Amato e Carlo Alberto Capriotti. Proprio il Capriotti ha sostituito Nicolò Amato a capo del Dap. Entrambi sono stati ascoltati dalla corte d’Assise di Palermo durante il processo trattativa Stato Mafia.

Secondo l’accusa, la sostituzione dell’allora direttore del Dap Nicolò Amato con Adalberto Capriotti costituì il tentativo di mettere alla guida del Dipartimento un uomo che avrebbe garantito il suo sostegno al dialogo sul carcere duro ai boss avviato da parte dello Stato con la mafia. Per evitare nuove stragi e omicidi eccellenti, sempre secondo i pm, pezzi delle istituzioni avrebbero trattato con cosa nostra concedendo un alleggerimento dei 41 bis realizzato, nel novembre del 93, con la mancata proroga di oltre 300 provvedimenti di carcere duro.

La direzione del DAP, da sempre è stata una posizione fondamentale nella trattativa stato-mafia. Forse, oserei dire, il primo punto della trattativa. Il 41bis è la peggiore spina nel fianco di Cosa Nostra. Non solo per le condizioni di vita terribili a cui vengono sottoposti gli affiliati di spicco dei clan, ma soprattutto perché il carcere duro è una fabbrica di pentiti e, ne la Mafia; ne lo stato italiano hanno interesse al dilagare del numero dei collaboratori di giustizia. Lo disse chiaramente Napolitano una volta, senza rendersene conto asserì “ in Italia i pentiti erano troppi”. La trattativa è ancora in corso? Poiché ci è evidente che il punto cardine della stessa rimane il DAP! Le modalità e la tempistica di avvicendamento tra, Nicolò Amato e Carlo Alberto Capriotti, nei primi anni novanta non vanno dimenticate e forniscono una chiave di lettura per ciò che ne è seguito, fino ai giorni nostri”. Afferma l’ex commissario di polizia Carmine Mancuso presidente dell’associazione Associazione Per Onorare La Memoria Dei Caduti Nella Lotta Contro La Mafia.

Le famiglie dei carcerati al 41Bis

Alla domanda: “Avvocato Aloisio ma lei ha parlato con Graviano in merito alla bufera che investendo la nomina del capo del Dap?”. Il difensore del boss di Brancaccio ha risposto sorridendo: “Si devo parlarci, me lo ha accennato l’altra volta. Non si capisce bene la situazione come sta. Vediamo. Posso dirle che in questo momento esiste un problema serio con i colloqui con i familiari che per adesso non vengono fatti con i carcerati del 41-bis. Forse la cosa verrà risolta dopo il 18 a causa del coronavirus”.

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