“Qualificammo l’evento come di immigrazione clandestina e, valutati i comportamenti della Open Arms, avviammo le procedure per emanare il decreto interministeriale per impedirle l’ingresso in acque internazionali italiane. La definizione di non inoffensività si basava sul comportamento attuale e pregresso della Open Arms che non aveva accettato il coordinamento della Guardia Costiera libica e che si dirigeva direttamente verso le acque italiane“. Lo ha detto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi deponendo al processo che vede il leader della Lega Matteo Salvini imputato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver negato l’approdo a Lampedusa, nell’agosto 2019, all’imbarcazione della ong Open Arms con 147 migranti soccorsi in mare. Piantedosi, all’epoca dei fatti, era capo di gabinetto del ministero dell’Interno, retto da Salvini.
“La Spagna, – ha aggiunto il ministro Piantedosi – che aveva anche fatto partire una nave per andarli a prendere, concesse il porto sicuro alla Open Arms dopo Ferragosto, per noi fu un segnale molto importante, ma la ong come prima reazione disse che non era in condizione di arrivare in Spagna perchè era trascorso troppo tempo. In realtà avrebbero certamente potuto farlo. Credo temessero sanzioni in quel Paese perché avevano preso a bordo più persone di quanto la legge consentiva loro“.
“Non ho mai riferito a Salvini di criticità a bordo né ho ricevuto rifiuti. – ha proseguito Piantedosi – Peraltro che ci fossero tensioni tra immigranti dopo i soccorsi era abbastanza normale e non alterava il meccanismo decisionale “.
“La linea di cercare la condivisione con gli altri Paesi europei prima di autorizzare lo sbarco cominciò durante il Governo Conte uno, anche allora c’era l’obiettivo di coinvolgere altre nazioni nella distribuzione dei migranti. Il secondo divieto di sbarco – ha aggiunto il ministro – non fu firmato dalla ministra della Difesa che eccepì, dopo contatti tra staff, che non c’erano le condizioni giuridiche per reiterare il provvedimento“.
“Malta si offrì di recuperare 39 migranti perché si trovavano nelle loro acque territoriali, ma Open Arms rifiutò quest’opzione: più avanti venimmo a sapere che alcuni sulla nave si erano un po’ agitati con il comandante per non essere sbarcati quando avevano avuto l’occasione. Successivamente non abbiamo ritenuto che il dispositivo del Tar superasse il nostro sull’autorizzazione dello sbarco – ha concluso Piantedosi, – Non spettava al ministero dell’Interno valutare le condizioni sanitarie complessive, ma agli uffici competenti che sono Usmaf e Cirm: abbiamo prestato assistenza permettendo a chi di dovere di andare sulla nave per una valutazione complessiva dello stato dei migranti. Quello di tuffarsi in mare è un gesto a volte volontario e a volte puramente dimostrativo, incentivato da chi sta a bordo“.
“Il ministro dà la linea politica, il capo di Gabinetto adotta i provvedimenti da eseguire” ha spiegato il ministro dell’Interno. Sulla vicenda venne indagato anche Piantedosi, ma il tribunale dei Ministri dispose l’archiviazione. Sulla decisione del Tar che sospese il decreto interministeriale il teste ha detto: ” a nostro avviso si era espresso sull’ingresso della nave e non sullo sbarco e di fatto ci diceva di farli entrare in acque nazionali per valutare se ci fossero le condizioni per l’attracco“.
“Siamo sempre stati sicuri che i migranti non correvano pericolo di vita. Sapemmo anche – ha aggiunto – che la Open Arms non aveva voluto ‘alleggerirsi’ del carico di migranti che erano più di quanti avrebbero dovuto. Abbiamo sempre agito – ha concluso – avendo come priorità la salvaguardia delle persone a bordo“.