Chi sono i proprietari che affittano le case per la prostituzione nigeriana a Palermo? Questa è una domanda fondamentale che si pone Nino Rocca del centro Impastato a seguito delle numerosi operazioni che in questi mesi hanno visto come protagonisti i personaggi dei vari clan della mafia nigeriana.
Ballarò è diventata, negli ultimi anni, teatro di scontro tra le organizzazioni mafiose nigeriane per gestire sia la prostituzione di ragazze schiavizzate, che lo spaccio della droga.
Uno dei luoghi in cui si consuma sia droga che sesso sono le connection house, tristemente famose, nelle ultime vicende criminali. Esse erano frequentate quasi esclusivamente da neri, ma successivamente, anche ai bianchi è stato concesso di frequentarle. Prima la Black Axe, poi la Yeie , adesso i Viking hanno colmato il vuoto dei loro predecessori.
Ciò che rimane lontano dai riflettori sono le responsabilità dei padroni di casa che affittano, spesso senza alcun contratto e in modo del tutto consapevole dell’uso che viene fatto delle loro abitazioni. Stando alle parole di Nino Rocca: “La complicità, spesso, è del tutto evidente”. Rocca racconta a ilSicilia.it che “Queste abitazioni poi chiuse, in cui si esercitava la prostituzione di ragazze costrette dai loro aguzzini e in cui si consumava droga e spesso il famigerato crack, erano distribuite in un perimetro molto ampio dentro Ballarò e attorno alle strade principali di esso, da via Roma a corso Tukory, a via Oreto e via Maqueda. Dei loro proprietari sino ad oggi si sa poco”.
Ma c’è ancora un altro problema connesso alle connection house è quello relativo alle ragazze che non dipendono dalla maman, che hanno pagato il debito, si sono affrancate dalla schiavitù ma non hanno risolto la loro situazione di povertà.
“Sono ragazze che debbono mantenere i figli che hanno lasciato in Nigeria quando sono partite, o a causa di una violenza subita in Libia o in Italia”. Continua Rocca. “Per loro occorre un progetto di recupero che consenta non solo ai loro bambini di essere tutelati ma anche a loro di essere affrancate dalla necessità di essere costrette a vendere il loro corpo. Bisogna, allora, rivedere nella logica dei rapporti di forza all’interno del quartiere che ruolo hanno i proprietari delle case utilizzate come connection house e il ruolo dei servizi sociali per sostenere in maniera adeguata le giovani mamme che rischiano di perdere i loro bambini che saranno affidati ad una altra famiglia per l’adozione. L’aspetto investigativo e repressivo delle forze dell’ordine deve essere coniugato con l’offerta di recupero delle giovani mamme in un contesto di antimafia sociale così come tentano di fare le associazioni come le donne di Benin City, e l’associazione nigeriana, presenti in prima linea nel contrasto alla tratta a rischio di una loro eccessiva esposizione”.