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Mafia nigeriana a Ballarò: reportage da un quartiere che finge di non vedere

sabato 6 Aprile 2019
ballarò
Ballarò, foto archivio

Cosa rimane a Ballarò, il popolare quartiere di Palermo, due giorni dopo l’operazione “No Fly Zone” è presto detto: indifferenza. Il blitz del 4 aprile, della Squadra mobile di Palermo, ha portato alla cattura e all’arresto di tredici persone ritenute appartenenti alla “Eiye”, associazione criminale nigeriana diffusa su tutto il territorio nazionale antagonista dell’altra, potente, denominata “Black Axe. Sfruttamento della prostituzione, spaccio e altro ancora secondo gli investigatori. Il nulla più assoluto secondo i residenti della zona.

Una passeggiata in un quartiere affascinante e complicato, nessuno può giudicare. Inevitabile farlo, giudizio e respirazione unici processi automatici del corpo e della mente umana. Ma il primo, cognitivo, può essere addomesticato dall’empatia e dalla coscienza di chi dopo le farisaiche, altisonanti e belle parole di prammatica torna al sicuro della propria casa.

L’uomo dagli occhi neri e i capelli bianchi disegnati nel marmo se ne frega, lui vende sigarette all’angolo della stradina che finisce in via Maqueda e se il mondo casca, scrolla la polvere dalla spalla.

Il pescivendolo non vuole parlare, il ragazzo che vende articoli per fumatori esposti in una bancarella tutta colorata sorride, incassa il collo e dice che non si è mai accorto di nulla. La vecchietta che trascina il trolley stracolmo di spesa, ascolta a testa bassa e sussurra che “ficiru buanu, parunu scimie… “ (hanno fatto bene, sembrano scimmie, ndr): come signora?, va via.

Il sabato mattina Ballarò, fatte le dovute proporzioni, sembra Soho, nulla da invidiare per colori e multietnicità, la distanza sostanziale dal famoso quartiere di Londra è colmata dalla subcultura dell’illegalità. In piazza, ci sono ancora i ragazzini che ti seguono cercando di attirare l’attenzione nel tentativo di vendere sostanze stupefacenti.

Quando non ci riescono, provano a farsi notare puntando dei laser rossi da pochi spiccioli verso i piedi dei passanti che puntualmente cercano di capire da dove arrivino, poi incrociano uno sguardo lontano che ammicca e qualcuno che ride e dice “chi ti siarb’ “ (che ti serve, ndr).

Si tira a campare, come sempre, una passeggiata per vedere i resti di una delle zone di Palermo più belle e neglette, un ossimoro che prende vita ogni giorno e ogni notte, con i pregi e con il torbido . La saracinesca chiusa di una storica pasticceria vicino a via Fratelli Lagumina, un orto urbano inaugurato poco meno di un anno fa e già degradato.  Lo “scooterone” nero di chi ha un motivo per controllare i movimenti e fa avanti e indietro per tutta la lunghezza di via Porta di Castro.

Non pare sia cambiato molto dal blitz e non basteranno, purtroppo, tutti gli orti urbani o le “isole” artistico – ricreative recuperate o sottratte al malaffare per cambiare le cose.

Il fascino del decadente alberga nella bottega della signora che vende le uova fresche vicino al liceo “Croce”. Le avvolge in un “coppino” di cartone come si faceva una volta e mentre il radical chic di turno s’incammina soddisfatto verso Rua Formaggi, si lascia alle spalle quello che per molti rimane un inferno da cui non sempre si può scappare.

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