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Quando Palermo fu investita dall’epidemia di colera nel 1866

venerdì 27 Marzo 2020

A proposito di epidemie, è parso utile qui ricordare una storia che la memoria collettiva, complice una certa storiografia che ha amato solamente raccontare gli aspetti di facciata senza talora approfondire le ragioni reali dei fatti, ha tramandato come evento drammatico da addebitare, al solito, malgoverno unitario.

Eccola, dunque, offerta in breve sintesi, per quelli che, come auspicava Manzoni, siano i nostri 25 lettori. Nel corso cosiddetta rivolta del “Sette e mezzo”, che infiammò Palermo nel settembre del 1866 – liquidata, con molta supponenza e altrettanta superficialità, dal noto storico Lucio Villari come “rivolta clerico-mafiosa”- l’epidemia di colera, che partendo dall’Oriente, si era diffusa anche in Italia, aveva fatto, improvvisamente, capolino anche in Sicilia e a Palermo in particolare che fino ad allora l’avevano scampata. Il diffondersi del morbo ebbe effetti disastrosi, fece nel corso di 14 mesi, quasi ottomila vittime.

Se questo è ben noto, pochi sono, invece, a conoscenza che fu proprio quell’evento rivoluzionario che contribuì alla sua propagazione in città ma, anche, nelle province siciliane. Un certo sicilianismo poco informato, ha infatti ricondotto il manifestarsi dell’epidemia a Palermo all’arrivo dei soldati “piemontesi”, al comando del generale Cadorna. Si è detto, infatti, che qualcuno dei soldati sarebbe stato “l’untore” responsabile di quella epidemia che si sarebbe in brevissimo tempo mutata in disastro.

Se questo potrebbe essere anche vero, si trascura però il motivo perché fino ad allora il colera, che già da luglio aveva pesantemente colpito Napoli, in Sicilia non si era ancora diffuso. Si dimentica che ciò era stato effetto dei severi provvedimenti che l’energico sindaco Antonio Starrabba di Rudinì, e il suo assessore alla sanità, Emanuele Notarbartolo di San Giovanni, avevano approntato per creare un sistema di protezione che, per qui tempi, si sarebbe potuto dire che fosse particolarmente avanzato.

Il progetto di questo sistema di protezione era stato realizzato dall’illustre clinico Corrado Tommasi-Crudeli, nominato membro aggiunto della giunta comunale, il quale aveva imposto l’adozione di tutta una serie di misure “così da essere pronti – scrisse nella relazione il clinico – alla eventualità di una invasione colerica, la quale per la nostra posizione isolana, e per il rigore della contumacia esistente nella nostra costa, e per la scarsezza dei commerci speriamo di potere evitare”.

La contumacia a cui si riferiva il Tommasi-Crudeli non era altro che la decisione di mettere in quarantena – è questo ci fa pensare alle polemiche che oggi sono state sollevate per l’iniziativa dell’attuale presidente della Regione Musumeci, di porre restrizioni ai cittadini che arrivano dalla penisola – per la durata di venti giorni chiunque provenisse da zone infette fuori dall’isola. D’altra parte, per il tempo, non si trattava di misure che facessero gran che di scalpore perché si iscrivevano nell’azione di modernizzazione che proprio il sindaco Starrabba di Rudinì aveva intrapreso, dal momento in cui era stato nominato.

Starrabba, aveva puntato, soprattutto, sul risanamento della città, da decenni molto trascurata e, per raggiungere questo scopo aveva elevato l’imposizione fiscale per risanare il bilancio comunale, ripagando la città con tutta una serie di opere che contribuirono al suo rinnovamento. Fra queste opere e azioni intraprese, non si dimenticano la costruzione di mercati che mettevano ordine in un settore dominato dalla malavita, il miglioramento della raccolta di nettezza urbana, aveva ripulito vicoli fatiscenti, la costruzione dei canali di Gibilrossa e Passo di Rigano, la lastricazione di molte strade che, prima di allora, le piogge riducevano a pantano.

Inoltre, per garantire la salute dei cittadini aveva migliorato le condotte d’acqua e, per di più, aveva dotato la città di nuove fognature. Non è un caso che, uno studioso, come Francesco Maggiore Perni, definisse Palermo, forse la città più pulita d’Italia. Questo quadretto che qualcuno – visto il presente di una Palermo che, invece, affonda nei disservizi e nel luridume, potrebbe definire addirittura arcadico – con la rivoluzione venne in gran parte spazzato via. Infatti, quella jacquerie anarcoide, guidata da chi aveva soprattutto interesse a far fuori Starrabba e il suo governo ed ingenuamente partecipata da chi ancora pensava alla Repubblica, ebbe l’effetto di far saltare le difese della città, con le conseguenze drammatiche che ne seguirono a causa del colera.

In tutto questo, come il don Ferrante dei Promessi Sposi che negava la peste e per questo motivo pagò con la vita le sue assurde teorie, ci fu anche chi, lo troviamo scritto nella relazione ufficiale del Tommasi-Crudeli “fomentava l’illusione che il colera non esistesse ma che fosse creato dall’immaginazione di quanti erano interessati a vivere su di esso”.

 

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