La sentenza di assoluzione dall’accusa di corruzione restituisce la giusta serenità all’ex vicepresidente dell’Ars Giuseppe Lupo che, con fair play democristiano, ha commentato la sentenza accennando alle “tante amarezze che ho dovuto affrontare in questi anni”.
C’è da dire che il termine “amarezze” utilizzato da Giuseppe Lupo è poco più che un eufemismo. L’ex deputato regionale del Partito Democratico oltre ai titoloni sui giornali a causa della notizia di indagine e del successivo rinvio a giudizio, venne bollato poco prima delle elezioni comunali di Palermo del giugno 2022 come “impresentabile” dall’allora Commissione parlamentare Antimafia presieduta dal grillino Nicola Morra. Un bel regalo al deputato dem che aveva scelto di correre per il Consiglio comunale del Capoluogo per sostenere l’invisibile candidato sindaco del centrosinistra contro Roberto Lagalla. L’impresentabile Lupo era stato appena rinviato a giudizio.
A causa della fatwa della Commissione Antimafia nel successivo mese di agosto 2022, mentre si preparavano le liste le regionali del successivo mese di settembre, cominciò il tiro a bersaglio contro Lupo. A puntare i piedi contro la candidatura di Lupo fu Caterina Chinnici, europarlamentare e allora candidata Presidente della Regione del centrosinistra che pose al Pd l’aut-aut: o io o gli “impresentabili”. E il Pd con il consueto coraggio che lo contraddistingue e preda degli incubi della questione morale scelse, e scelse sacrificando Lupo e preferendogli la fatwa della Chinnici che oltre a perdere disastrosamente le regionali successivamente abbandonò i Dem per approdare tra le fila di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi e del garantismo.
Il caso Lupo venne sfruttato dal M5S per rompere con il Pd in nome della forca. Giuseppe Conte in una intervista fu categorico: “non possiamo candidare in Parlamento figure antimafia come Scarpinato e de Raho e poi accettare impresentabili in lista. Non possiamo prestarci a fare la foglia di fico del Pd per coprire logiche da vecchia politica, sacrificando i nostri principi”.
E così fatwa dopo fatwa Lupo fu costretto a rinunciare alla candidatura a Sala d’Ercole senza rinunciare ad una dichiarazione da aspirante martire: ho deciso di non ricandidarmi all’Ars per non alimentare una strumentale polemica che danneggerebbe il Partito Democratico.
A nulla valsero i richiami del giurista Guido Corso che interpellato dall’Ansa dichiarò: “Per la Costituzione e per la legge Severino, Giuseppe Lupo è perfettamente candidabile alle regionali in Sicilia: quando si dice che un decreto di citazione a giudizio impedisce una candidatura significa affidare la decisione alle Procure e questo lede il principio della separazione dei poteri. Lupo è stato rinviato a giudizio, non è stato condannato”.
Ma nulla, Lupo non venne candidato e i suoi aguzzini politici finirono sonoramente sconfitti dal centrodestra e surclassati anche da Cateno De Luca.
A distanza di due anni è arrivata la sentenza di assoluzione dall’accusa di corruzione per Lupo. La notizia viene ripresa, senza troppo rumore, ma purtroppo non si hanno ancora notizie di scuse e di dibattiti all’interno del Pd per dirsi quanto la vera impresentabile sia questa totale assenza di garantismo e queste inutili fatwe forcaiole.