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Quei “bambini di Chernobyl” oggi sotto le bombe: una storia siciliana

domenica 1 Maggio 2022

Nel 1999 avevano fra i 5 e i 15 anni. Dall’Ucraina arrivavano in Sicilia per i cosiddetti “soggiorni della salute”. Oggi, quei bambini di Chernobyl, sono soldati, profughi in fuga dalle bombe e le loro storie tornano a intrecciarsi con quelle delle famiglie che, a loro tempo, li ospitarono.

A pochi giorni dall’anniversario del disastro avvenuto 36 anni fa, il 26 aprile 1986 nella centrale nucleare di Chernobyl, nell’allora Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, vi raccontiamo la storia di una famiglia siciliana che ha intrecciato il proprio destino con quello dei bambini dell’Europa dell’Est.

Gianmaria e Santina si sono sposati nel 1990. Insieme al figlio Eugenio vivono a Ventimiglia di Sicilia, in provincia di Palermo. Sono loro a raccontare questa parte della loro vita che parla di accoglienza e solidarietà. Un percorso personale e di comunità non sempre facile, a tratti difficile e, nell’ultimo periodo, anche drammatico. Tutto ha inizio 23 anni fa, nel 1999 quando Gianmaria e Santina insieme ad altre coppie e ad altre famiglie siciliane di Ventimiglia di Sicilia, Baucina, Ciminna e Altavilla Milicia, tramite l’attività di alcune associazioni e la parrocchia, partecipano all’iniziativa dei cosiddetti “soggiorni di risanamento” pensati per permettere, ad alcuni bambini provenienti soprattutto da Bielorussia e Ucraina (i più esposti agli effetti nocivi delle radiazioni), di andare in luoghi più salubri come quelli siciliani. In alcuni casi si tratta di bambini con genitori e famiglie solide alle spalle, in altri casi si tratta di bambini che vivono in istituti che la guerra, in due mesi, ha ridotto in macerie.

Vanno a Catania ed è lì che per la prima volta vedono Artem. Ha 8 anni, è nato a Kiev e, insieme a una ventina di bambini e bambine ucraini, è arrivato in Sicilia per scongiurare gli effetti delle radiazioni sprigionate dallo scoppio del reattore nucleare di Chernobyl. “Quando l’ho visto, sono scoppiata a piangere. Era piccolissimo”, dice Santina.

Non si capiscono ma non importa, sanno già quanto basta.

Quell’estate passeranno un mese insieme. Con loro, il parroco di allora, padre Pino Graziano e Giuseppe Settepani ma, è tutto il paese a mobilitarsi per quei piccoli. Condivideranno tutto: casa, cibo, tradizioni, esperienze. Respireranno l’aria buona del paese, faranno vita di comunità. Ad aiutarli, per la questione della lingua ci sono Olga, Ludmilla, Ylenia, le interpreti ma, esprimersi a gesti resta sempre l’alternativa più efficace! Per Gianmaria e Santina l’arrivo del piccolo Artem è doppiamente importante e ha un impatto emotivo molto forte. Insieme alla gioia di ospitare un bambino e partecipare concretamente a un’iniziativa di autentica solidarietà, custodiscono anche un grande desiderio: quello di adottare un bambino. E anche se i due percorsi (adozione e soggiorni) seguono due percorsi indipendenti, altre strade, altre procedure, l’arrivo del piccolo ucraino, aveva dato alla coppia, una carica emotiva particolare. “Ci siamo affezionati subito. La madre era morta alla nascita e il padre lo aveva lasciato ai nonni materni”, ricorda Gianmaria. Arrivavano con niente, solo con i vestiti che avevano addosso”, aggiunge Santina.

Artem tornerà a Ventimiglia altre volte, l’ultima nel 2002 quando, purtroppo, in gran parte del comprensorio (non in tutti i paesi comunque), si conclude il progetto per i bambini di Chernobyl. Nel frattempo, però, il percorso verso l’adozione di un bambino da parte della coppia, va avanti. Così, il 30 luglio del 2001, arriva finalmente Eugenio. Ha sei anni, è ucraino, parla il russo. E’ nato nel 1996 e, quando Santina e Gianmaria vanno a trovarlo in orfanotrofio, si trova a Snižne, vicino Donetsk (nella zona orientale dell’Ucraina, la più colpita dal conflitto, confinante con la Russia).
Quando arriva a Ventimiglia é una festa, letteralmente. Magrissimo, biondo, con due occhi azzurri che spiazzano. É una gioia per Gianmaria e Santina che lo hanno desiderato e amato da subito, per la loro famiglia, per tutto il paese.

Oggi Eugenio ha 26 anni. Di quei primi anni di vita passati in Ucraina, non ricorda quasi nulla. Qualche parola, qualche frase. Quando é scoppiata la guerra, lo scorso 24 febbraio però, il pensiero di tutta la famiglia è andato ad Artem. Che fine aveva fatto? Era al sicuro?
Così provano a contattarlo su Instagram, aiutandosi con il traduttore. Ci riescono e Artem, risponde. Ha dovuto lasciare il suo lavoro, faceva l’autista. Quando riescono a parlargli, all’inizio della guerra, si trova nella zona di Kiev, sotto le bombe, insieme alla nonna, ai suoi due figli.

Anche le altre famiglie di Ventimiglia fanno lo stesso con i loro “bambini di Chernobyl”. Le notizie che riescono ad avere son poche e preoccupanti. Alcuni combattono, altri sono feriti, di altri altri ancora non si sa più nulla. “Non lo sentivamo da tempo poi, quando mi ha risposto, mi sono tranquillizzato. Con Eugenio sono come fratelli, dice Gianmaria.

Quei bambini diventati adulti, sono oggi poco più che trentenni e non possono o non vogliono lasciare l’Ucraina. La loro infanzia già segnata dal disastro nucleare, attraversa un’età adulta sconvolta dalla guerra. Il loro è un destino incerto, un dramma che coinvolge la Sicilia e le famiglie che li hanno accolti con generosità e affetto anni fa. Se rifaremmo quell’ esperienza? Certamente sì, dicono. “Sappiamo – aggiungono – che alcune famiglie ucraine sono state accolte nei paesi vicini al nostro ma si tratta ancora di pochi casi isolati.”

Un’ondata di amore che anche oggi si ripete con i figli, le mogli, le sorelle, le nonne di quei bambini di Chernobyl – oggi profughi in Italia – che vengono nuovamente ospitati dalle famiglie siciliane. Serve fare di più, servono azioni coordinate, servono associazioni laiche e religiose attive sul territorio, serve l’impegno delle istituzioni e dei cittadini.

Gianmaria e Santina hanno 59 anni. La loro, è una storia umana molto complessa ed emozionante. Non vuole essere un semplice esempio ma, un invito per una riflessione collettiva, un’esortazione a non chiudersi nel proprio guscio, nel proprio egoismo e costruire una nuova coscienza, un futuro migliore.

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