Da molte parti si sostiene, non senza ragione, che nella “svolta” europeista di Matteo Salvini e nel sostegno incondizionato al presidente Draghi perché formi il nuovo governo, abbia giocato un ruolo decisivo l’ex sottosegretario alla presidenza Giancarlo Giorgetti.
Egli, infatti, si è fatto interprete delle sollecitazioni che provenivano da quella parte del paese dove si produce la maggiore ricchezza con un apparato produttivo e il sistema della piccola e media impresa capaci di creare occupazione e competere nei mercati e oggi stremata dalla crisi a causa della pandemia.
In tal senso si sono mosse anche le Regioni del Nord con in testa il governatore del Veneto Luca Zaia, la Confindustria, la più critica delle associazioni d’impresa nei confronti del governo precedente presieduto da Conte, e ora pronti a sostenere Draghi. Tutti animati dalla vecchia idea, in verità rivelatasi infondata, che se riparte il Nord riparte il Paese.
Essi hanno capito che con il ricorso alle elezioni anticipate vi era il pericolo reale di perdere la grande occasione messa a disposizione dall’Europa con le rilevanti risorse del Recovery Fund per consentire il rilancio dell’economia e la possibilità concreta di tornare a crescere. E’ Il Nord che si sta organizzando in una strategica alleanza tra istituzioni, mondo dell’impresa e mondo del lavoro.
E il Sud, e la Sicilia? Il pericolo che il Recovery rafforzi ancora il Nord, più attrezzato, con maggiore capacità di spesa, con strutture amministrative più efficienti e accresca così il divario territoriale, non è da sottovalutare.
In Sicilia non vi è stato alcun dibattito su un tema così rilevante, nessun confronto tra diverse idee e proposte. Nessuna consultazione delle associazioni d’impresa e dei sindacati. Non sono state coinvolte le competenze di cui la Sicilia dispone nel mondo delle imprese e delle università. Non risulta nessun impegnato dibattito all’Assemblea regionale.
La Regione ha inviato il suo piano al governo nazionale, dalle infrastrutture, a parte il solito Ponte sullo Stretto, utili per ridurre il gap con il Nord e creare in breve tempo lavoro in un settore falcidiato dalla crisi.
Proposte interessanti sul piano dell’innovazione, dall’ambiente alla digitalizzazione, che s’intrecciano con opere stravaganti. Sembra quasi una sommatoria di diverse esigenze sollecitate dai partiti, dagli assessori e dai territori, messe in fila come a non volere dispiacere nessuno.
Da questo programma, infatti, non emerge un’idea di sviluppo, un progetto di crescita cui collegare e potenziare settori e strutture. Quello che si chiama progetto integrato di sviluppo su cui concentrare tutte le risorse finanziarie disponibili. Dal solo Recovery Fund si parla per la Sicilia di una somma che si aggira sui 26 milioni di euro.
E qui emerge l’altro nodo fondamentale, poiché come spiegava un ottimo presidente della Regione, quale fu Rino Nicolosi, occorre distinguere tra ciò che è programma e ciò che è gestione.
Ecco perché è importante che la Regione adotti un progetto integrato di sviluppo, uno strumento che attraverso la gestione, il coordinamento e il controllo dei vari interventi attraverso i quali il progetto si articola e si attua. Si potrà così beneficiare di effetti di “sinergia” non acquisibili attraverso singoli interventi concepiti e realizzati al di fuori di un’organica azione che solo il progetto integrato può assicurare.
A tal fine occorre pensare strumenti attuativi inediti come la creazione di agenzia per lo sviluppo che aggreghi le migliori competenze manageriali e finanziarie interne e soprattutto esterne alla pubblica amministrazione e si adottino procedure snelle che, garantendo trasparenza e legalità, superi l’incapacità di spesa della Regione e la carenza strutturale della Pubblica amministrazione.