La diffusione della ricotta nel nostro paese affonda le sue radici nei rituali e retaggi pastorali tramandati nei secoli, di generazione in generazione.
Le prime testimonianze legate alla ricotta ci portano in Medio Oriente e in tutti i territori del bacino del Mediterraneo e risalgono a quasi 3000 anni fa. Una leggenda infatti affibia l’invenzione della ricotta a Camole re dei Lidi (La Lidia è l’attuale Anatolia). L’approdo in Italia si concretizzò attraverso i pastori Etruschi, della Magna Grecia e dell’antica Roma, un connubio che profuma di fieno, territorio e tradizioni che fa della pastorizia una chiave di lettura ancestrale dell’identità enogastronomica del nostro paese. Le prime testimonianze scritte relative alla produzione della ricotta si attribuiscono a Catone, il quale nelle norme relative all’uso dell’usufrutto della pastorizia nella Roma repubblicana, ci riporta che il latte di pecora assolveva a numerose funzioni come quella religiosa/sacrificale oppure quella alimentare. In quest’ultima ottica appunto il latte di pecora poteva essere utilizzato come bevanda o subire una trasformazione in formaggio o ricotta (una volta ricotto il siero prodotto dallo scarto della lavorazione dei formaggi). La trasformazione del siero in ricotta viene approfondita per la prima volta in un’opera “De re rustica” del I°secolo d.C. attribuita a Lucio Giunio Moderato Columella. L’autore romano elenca le varie metodologie utilizzate per la trasformazione del siero in ricotta e la produzione della ricotta stessa oltre ad averne coniato il nome. Il nome ricotta si fa infatti risalire alla locuzione latina “serum coctum” ovvero siero cotto da cui ne derivò il nome abbreviato “recoctum” che in italiano diventò appunto “ricotta” dal latino “recocta”. Il siero nella produzione lattiero casearia è uno scarto e lo è per derivazione anche la ricotta, appunto un prodotto di scarto nella vita contadina, quindi povero, che per secoli fu simbolo per antonomasia di resilienza e senso di appartenenza al territorio, sospinti entrambi dall’istinto di sopravvivenza legato alla fame. I contadini per resistere e sopperire alle carestie, ai freddi inverni e alla scarsità dei raccolti, cominciarono a non buttare più il siero bensì ad utilizzarlo ricuocendolo nuovamente.
Come si produce la ricotta?
Tutto comincia dalla produzione del formaggio e precisamente da quando il latte viene cagliato. Dopo l’aggiunzione del caglio, il latte caldo si comincia a coagulare in un composto chiamato “cagliata” da cui si origina il formaggio. La parte non coagulata che rimane acquosa prende il nome di latticello o siero. Ed è proprio da qui che bisogna partire per parlare di ricotta e della circolarità insita nella sua produzione. Una volta ottenuto il siero, questo viene portato nuovamente a calore (82°C/95°C) senza aggiungere il caglio. Le proteine del siero “soprattutto albumine e globuline” iniziano a solidificarsi ed assumono l’aspetto di piccoli fiocchi bianchi e leggeri che affiorano in superficie. Una volta affiorati, questi fiocchi vengono prelevati con dei mestoli appositi o per mezzo di tele e messi nei tipici contenitori forati chiamati “fuscelle”. E voilà la ricotta in tutto il suo bianco candore.
Formaggio o latticino? E’ ora di fare chiarezza
Secondo la legislazione italiana e dell’UE, la ricotta è un prodotto lattiero caseario ovvero un latticino quindi non un formaggio e la distinzione si evince, secondo il regolamento dell’Organizzazione Comune dei Mercati (OCM), dal ruolo assunto dal caglio nel processo di produzione proprio del formaggio. Lo snodo centrale sta nella differenza sostanziale tra coagulazione enzimatica presente nel formaggio e coagulazione termica della ricotta. A livello internazionale le carte vengono rimescolate dando vita ad una dicotomia normativa di tutto rispetto. Stando a quanto evidenziato dalla “World Health Organization & Food and Agriculture Organization, 2022) infatti viene sancito per la ricotta il riconoscimento di “formaggio di siero”. Un fatto curioso e a dir poco bizzarro, che quantomeno all’estero ci protegge dal commettere errori, tutte le volte in cui accostiamo il termine “cheese” alla nostra beneamata ricotta.
Le ricotte più amate
Le singole varietà di ricotta nel nostro paese, come le tesserine di un mosaico, compongono un disegno unico, raccontano la storia pastorale delle singole regioni, regalando tinte diverse e sfumature uniche. Così non si sono fatti attendere i riconoscimenti D.O.P. sia per la ricotta romana (perlopiù vaccina) che per la ricotta di bufala campana. Si annoverano anche la ricotta di pecora sarda, quella affumicata tipica di regioni come la Calabria e la Puglia e quella al forno tipica della Sicilia. In Sicilia tra l’altro, merita un approfondimento la ricotta di pecora salata che si presenta di una consistenza solida e si presta in tal modo ad essere grattugiata. Merita altresì di essere menzionata la ricotta vaccina piemontese detta “Reirass” tipica per la sua fresca cremosità. Insomma una miscellanea di consistenze e sfumature palatali che negli anni è stata la giostra degli Chef, i quali tra ripieni per tortelli e crespelle oppure tra farciture per pastiere e cannoli hanno dato sfogo ad estri creativi sempre più originali e ricercati. Esempio sublime è il gelato realizzato con ricotta di bufala campana o le spume di ricotta realizzate con il sifone per non dimenticare le versioni salate del cannolo a cui fanno da contraltare le ricotte speziate che profumano d’oriente.
L’angolo della nutrizione
Dal punto di vista nutrizionale è bene fare un distinguo in merito alle tre varietà più diffuse in commercio, ossia la ricotta vaccina, quella di pecora e infine quella di capra. La ricotta vaccina risulta essere la più equilibrata, con un elevato contenuto di proteine e un basso contenuto di grassi. Per 100 grammi di prodotto le calorie si aggirano circa su 140 Kcal, i grassi sono presenti al 9% circa e le proteine al 10%. La ricotta di pecora pur avendo un alto contenuto di proteine, presenta un alto valore di calorie che si attestano circa su 175 Kcal per 100 grammi di prodotto e un alto valore di grassi che possono essere compresi tra l’11% e il 14%. La ricotta di capra è sostanzialmente alla pari con quella vaccina, pur avendo utilizzi più limitati a causa del suo sapore marcato.