Riforma delle Province e ddl enti locali. Tante analogie. Destini diversi? E’ questa la domanda che riecheggia in queste ore all’Assemblea Regionale Siciliana. Come è noto, è stato depositato il testo che mira a stoppare le elezioni di secondo livello di liberi consorzi e Città Metropolitane, al momento fissate per il 15 dicembre, concedendo agli elettori la possibilità di tornare alle urne nella primavera del 2025.
Riforma delle Province, percorso ad ostacoli
Una decisione venuta fuori dall’ultimo vertice di maggioranza e che ha visto tutti i capigruppo del centrodestra sottoscrivere il nuovo atto. Dopo il flop estivo, la coalizione di Renato Schifani ci riprova cercando di garantire la massima rappresentatività popolare. Chiamata ai seggi che dovrebbe essere nella primavera del 2025, fra aprile e giugno. Un po’ come auspicato dal segretario nazionale della DC Totò Cuffaro all’ultimo comitato regionale del partito che si è svolto a Modica. L’impresa, però, non è delle più semplici.
I tempi per evitare il voto di dicembre sono davvero stretti e i passaggi burocratici da fare sono inevitabili. Bisognerà quantomeno far transitare il testo dalla commissione Affari Istituzionali, presieduta da Ignazio Abbate, e dalla commissione Bilancio presieduta da Dario Daidone, in modo da garantire l’inserimento della copertura finanziaria necessaria nella prossima legge di stabilità. In mezzo ci sono però almeno due ddl. Uno relativo alla terza variazione di bilancio, la quale dovrà essere obbligatoriamente approvata entro il 5 novembre. L’altro relativo al ddl urbanistica, il quale recepisce al suo interno il decreto ministeriale salva-casa. Dopo mesi di impasse all’Assemblea Regionale Siciliana sul ddl enti locali, adesso paradossalmente il tempo stringe maledettamente per il centrodestra.
Le analogie con il ddl enti locali: la rappresentanza di genere
Il ddl enti locali. Quel testo rinviato per la terza volta in commissione presenta diverse analogie importanti con la riforma delle Province. Prima fra tutte l’incompatibilità di carica fra il consigliere e l’assessore provinciale. Una norma praticamente uguale a quella prospettata per i 391 comuni siciliani. L’altra grande analogia riguarda le norme relative alla parità di genere. Ciò con una grande distinzione.
Secondo quanto previsto dal testo infatti, per le Giunte dei Liberi Consorzi (Enna, Caltanissetta, Agrigento, Trapani, Ragusa e Siracusa) è previsto che “nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40%, con arrotondamento aritmetico“. Per fare un esempio pratico, se in un esecutivo provinciale da 10 assessori ci sarà una maggioranza di esponenti maschi, almeno 4 assessori dovranno essere necessariamente donne o viceversa. Non sarà così invece per le tre Città Metropolitane (Palermo, Catania e Messina), dove è prevista la semplice “presenza di genere“. Ovvero, ci dovrà essere almeno un o una rappresentante del sesso minoritario. Ma visto che la politica siciliana è a profonda trazione maschile, per le donne questo potrebbe rappresentare un problema.
Poche donne in politica, i dati
Una criticità sottolineata già in sede di ddl enti locali, attraverso una manifestazione che si è tenuta sotto l’Assemblea Regionale Siciliana. “Le donne nelle istituzioni siciliane sono ancora molto sottorappresentate – evidenzia la consigliere dell’esecutivo nazionale di Democratiche Cleo Li Calzi -. In nessun capoluogo di provincia c’è un sindaco donna. La quota di presenza di donne in Giunta non supera il 20% in tutti e nove i capoluoghi di Provincia. La Sicilia resta quindi una delle ultime regioni dove non è ancora prevista la doppia preferenza di genere nelle elezioni regionali. È il tradimento del principio costituzionale che punta all’equilibrio nella rappresentanza negli organismi di governo. I ddl approdati all’Ars tradiscono la democrazia paritaria e sottraggono alle politiche di sviluppo quel necessario sguardo di genere che in altri paesi ha determinato il cambiamento di passo“.
I numeri, infatti, parlano chiaro. Su 391 sindaci siciliani, solo 23 sono donne. Di queste, solo 6 rappresentano città fra le prime 50 in Sicilia per popolazione. Il resto presiede piccoli comuni. Con riguardo ai grandi comuni, la situazione si fa ancora più complessa. Nelle Giunte dei nove capoluoghi di provincia ci sono soltanto 14 assessori su 95 totali. E in nessuna città si supera mai il 20% di rappresentanza di genere. Ovvero, la metà esatta di quanto previsto a livello nazionale.
“Sono certa che il gruppo del PD all’Ars, insieme a tutto il centrosinistra, presenterà emendamenti per estendere al 40% la soglia delle presenze di genere anche per le Città Metropolitane – si augura Milena Gentile, Responsabile del Dipartimento regionale Politiche di Genere del PD Sicilia –. Lo abbiamo già concordato in sede di discussione del ddl enti locali, tanto che sono stati presentati emendamenti con proposte anche superiori alle percentuali previste dalla legge nazionale”.
“Il PD in questo è stato capofila perché per il nostro partito la promozione di una maggiore presenza delle donne nelle istituzioni è una questione identitaria, alla quale nessuno può sottrarsi – aggiunge –. L’auspicio è che anche le donne del centrodestra, che hanno manifestato con noi davanti all’Ars e che credono nell’ importanza degli strumenti di riequilibrio dei generi, condividano questa battaglia con i loro colleghi uomini, non solo per il ddl Province, ma soprattutto per l’approvazione della doppia preferenza di genere nella legge elettorale regionale, rispetto alla quale la Sicilia è ancora fanalino di coda dell’ intero Paese. Ne va della credibilità di tutta la politica siciliana“.