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Riprendere l’iniziativa antimafia per difendere l’economia

venerdì 19 Maggio 2017
Elio Sanfilippo
Elio Sanfilippo

Nei giorni scorsi ha destato scalpore la notizia dell’iniziativa giudiziaria della Procura di Milano sull’aggressione a un soggetto della grande distribuzione commerciale, presente peraltro sul territorio nazionale, (Lidl) da parte di un famoso clan della mafia catanese, i Laudani, tanto da trasformarlo in un’efficace “ lavanderia”, del denaro sporco che il clan accumulava.

Già da qualche tempo in Sicilia l’attenzione della magistratura verso questo fenomeno è stata alta e le indagini conseguenti hanno portato a severe condanne e a confische dei patrimoni e delle strutture di vendita, sia nella Sicilia occidentale sia in quella orientale, da Palermo a Catania, a Trapani, solo per citare alcuni esempi.

La novità sta nel fatto, come si evince dall’indagine milanese, che la mafia sta estendendo questa strategia su tutto il territorio nazionale, e forse anche europeo, confermando ancora una volta come il settore del Commercio e della Grande Distribuzione rappresenti uno dei più importanti veicoli per il riciclaggio del denaro proveniente dalle attività illegali, oltre alla tradizionale fonte di approvvigionamento proveniente dalle estorsioni.

Insieme alla produzione di energia alternativa e alla costruzione d’impianti per lo smaltimento dei rifiuti, la realizzazione e la gestione della Grande Distribuzione commerciale rappresentano i settori economici più appetibili per Cosa Nostra, sia per i flussi finanziari a essi collegati, sia per il giro di affari che muovono. Sempre più la Mafia rivolge la sua attenzione all’economia e al camuffamento con operazioni legali, utilizzando volti nuovi nel campo delle professioni e dell’imprenditoria, evitando azioni clamorose che possano scuotere la sensibilità dell’opinione pubblica.

In una realtà come la Sicilia, il Commercio rappresenta il polmone principale attraverso cui si snoda in gran parte l’attività economica. Diventa, pertanto, fondamentale liberare il comparto da alcune zavorre che ne impediscono lo sviluppo e la crescita, liberando il mercato da ogni forma di condizionamento e illegalità, oggi soffocato, infatti, dall’abusivismo, dal lavoro nero e dall’infiltrazione e dall’aggressione dei gruppi mafiosi.

Non ci sarà alcun imprenditore che, in queste condizioni avrà interesse a investire, a innovare e a crescere, se questa crescita sarà possibilmente oggetto di maggior attenzione dei gruppi mafiosi, anche perché le aziende commerciali sono quelle che più intimamente aderiscono al territorio e alla comunità che vi risiede- E’, quindi, interesse prioritario dell’imprenditore e delle istituzioni che rappresentano la comunità, liberare il territorio da ogni forma di condizionamento della mafia, a cominciare dalle richieste estorsive.

Qualche anno fa a un convegno sui protocolli di legalità, promosso da Lega Coop, il magistrato Maurizio De Lucia spiegò come ancor prima della repressione più importante è la prevenzione per evitare che la situazione diventi patologica: “Se sul tavolo dell’imprenditore c è la pistola, vuol dire che quell’impresa è già fuori da mercato”.

E così muore il commercio, e se muore il commercio muoiono le città.

Da qui l’esigenza di fornire alle imprese gli strumenti più idonei per fronteggiare il fenomeno che ha raffinato i suoi strumenti di penetrazione, in particolare nel settore commerciale e della Grande Distribuzione, dalla localizzazione delle aree, alla realizzazione delle strutture e degli impianti, al reclutamento del personale, ai canali di rifornimento.

Da qui l’esigenza di un continuo monitoraggio che possa garantire sicurezza, legalità e trasparenza cosi come si è fatto per il settore delle opere pubbliche, oggi non più appetibile come nel passato per il crollo degli investimenti nel settore e che spinge Cosa Nostra a volgere lo sguardo e l’attenzione verso comparti più redditizi sul piano economico e finanziario.

Cultura d’impresa e cultura della legalità sono il binomio, come più volte sottolineato, attorno a cui costruire il nuovo modello di sviluppo dell’economia siciliana. Senza di questo saremo condannati alla marginalità economica, a strutture imprenditoriali sempre più fragili, all’espulsione dal mercato.

La vicenda milanese da questo punto di vista è per la Sicilia un brutto segnale che dovrebbe allarmare innanzitutto le associazioni di rappresentanza del mondo imprenditoriale e i sindacati dei lavoratori per evitare drammi e costi sociali sia nel campo dell’impresa che del lavoro. Prevenire, quindi, come suggeriva il giudice De Lucia.

E’ tempo, dunque, per riprendere e aggiornare l’analisi e la conoscenza dei processi in atto, al fine di rilanciare un’efficace azione antimafia che superi i limiti, gli errori e anche degenerazioni del recente passato, che tanto danno arrecato alla credibilità e all’incisività del movimento antimafia. Sarebbe questo il modo migliore per ricordare nei prossimi giorni Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli agenti della scorta.

 

 

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