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Romanzi da leggere online: il settimo capitolo di “La voglio gassata”

sabato 15 Giugno 2019
Sandro Chia (Firenze 1946), «Passeggiata con cavallo», 1998, olio su tela
Sandro Chia (Firenze 1946), «Passeggiata con cavallo», 1998, olio su tela

La 24ª puntata della rubrica “Romanzi da leggere online”prosegue con il settimo capitolo del romanzo di Caterina Guttadauro La Brasca, “La voglio gassata”.

 

CAPITOLO 7°

Tempo dopo, mio fratello, rientrando una sera mi disse: «Roberta ho incontrato un tuo amico, un certo Bruno e ti manda, tramite me, il suo saluto. Mi ha detto che a Bologna ha lasciato una parte del suo cuore.»

Fui felice. Restare nell’immaginario di un ragazzo che interessa è come conquistarlo e, se ci ricorda, dopo tanto tempo, vuol dire averlo segnato. Non mi stupì, invece, il distacco con cui mio fratello aveva raccontato un aneddoto così tenero e carino. Non avrei mai potuto essere la sua ragazza, mi indisponeva perfino la tonalità di voce con cui riferiva certe cose, soprattutto se erano sentimentali.

Intanto mio zio, il papà di Cristina, conoscendo il mio indirizzo di studi, liceo linguistico internazionale e la mia voglia di viaggiare, aveva organizzato un viaggio a Londra: la mia prima vacanza da sola. Ero già in viaggio con la fantasia, mi trovavo in mano un foglio bianco che potevo usare alla mia maniera, senza testimoni o scomode presenze, senza imbarazzi, ero ingorda di tutto, amicizia, amore, confidenza, intimità e sesso. Si, su quest’ultimo argomento allora era difficile fare delle domande ma ancor di più avere delle risposte. Mi rapiva vedere due ragazzi che si baciavano, incuranti di tutto ciò che li circondava. Li spiavo con curiosità ed attenzione e pensavo: “non può non capitarmi, prima o poi” Quando la mia fantasia era a briglie sciolte, respiravo con l’avidità che ha un assetato per poi tornare in apnea appena mio padre era costretto ad un nuovo ricovero: tutto il resto cadeva nel dimenticatoio.

L’assenza di mio padre creò criticità nell’Azienda di famiglia e nessuno poteva sostituirlo. C’era gente volenterosa e capace, ma l’aggregazione, l’entusiasmo, la capacità imprenditoriale del “Regista” non c’era. Non potevo restare inerte, dovevo aiutare: era ora di dimostrare con i fatti l’amore per mio padre e la nostra famiglia. Cominciai allora ad avere un barlume di senso di responsabilità, me ne accorsi perché vedevo in modo nuovo il mio ruolo in seno alla famiglia. Ero una donna, e allora? Ero capace di lavorare e decidere del mio destino, esattamente come e meglio di un uomo.

Mi presentai ad un colloquio per segretaria in una Società telefonica, su consiglio di un’amica. Le premesse non mi piacquero e subito pensai che quel lavoro non era e non sarebbe stato la mia vita. L’idea di vivere ad una scrivania, di timbrare un cartellino, vedere sempre le stesse facce ed avere un lavoro ripetitivo mi deprimeva.

Mia madre, come sempre, aveva capito e mi disse: «Non preoccuparti Roberta, un lavoro non lo sposi, è solo un mezzo per non perdere la tua autonomia.»

Come sempre, la mamma trovò le parole giuste per non farmi rinunciare, e trovando opportuna la sua riflessione, la feci subito mia. Mio fratello ebbe la stessa sorte, lavorava per tutto il giorno in un’agenzia assicurativa ma la sua reazione era opposta alla mia e questo dimostrava la nostra diversità; si trovava a suo agio nell’ambiente di lavoro e in casa ne parlava il meno possibile. Iniziai il lavoro e il mio sorriso si spense, mi sentivo addosso un vestito usato, il mio corpo non era esaltato ma mortificato.

Passati i primi tempi e smaltita la negatività dell’impatto, cominciai ad essere più possibilista. Mi diedi un’occhiata intorno e mi accorsi della presenza di tanta gente interessante, anche tra i giovani. Con una collega legai molto e facemmo insieme una bella vacanza a Maratea (Basilicata), dove abitava un’amica con la sua famiglia.

Partimmo con una cinquecento, carica del nostro buonumore e della mia voglia di cambiare pagina. A Lagonegro, nel cuore della terra di Basilicata, a quel tempo chi viaggiava sapeva quanto era ostica quella strada, la macchina si fermò. Mi spaventai: noi due ragazze sole, su una strada pericolosa per la tenuta e i possibili incontri. Forse in quel frangente scoprii la vera paura, la possibilità di diventare vittima delle circostanze ed evocavo tanti episodi che i media ci imbastivano tutti i giorni e che accadevano più frequentemente proprio su quelle strade.

Scoprii, però, sempre tramite questo episodio, l’abilità della mia amica nella guida e la sua capacità di riparare i guasti delle macchine. Non avevamo il tempo di annoiarci. Il Meridione è noto per gli apprezzamenti, e due ragazze sole erano più abbordabili. Due ragazzi, conosciuti lì, ci fecero tanta compagnia. Apprezzammo la loro disponibilità ad ospitarci nella loro terra, la Basilicata. Accogliemmo l’invito, e Salvatore il mio corteggiatore, proprietario di un’azienda, ne fu felicissimo.

Tante volte da lui mi son sentita chiedere: «Cosa posso fare per renderti felice? per rendere questo nostro incontro indimenticabile?» Compresi dal tono della sua voce, dalla disarmante sincerità dei suoi occhi, che quelle parole erano in perfetta sintonia con i suoi sentimenti. Era da amare una persona così, prometteva un lago dorato dove scivolare su rosei tramonti, mai da sola ma insieme. Tante volte ero sentita dire cose analoghe ma mai come quella volta sentivo la loro verità.

«Salvatore, risposi riconoscente e sincera, io sono felice in questo paradiso naturale. Apprezzo particolarmente le tue premure perché fanno respirare il mio cuore. Nulla è finto tra di noi.»

Ci tuffavamo insieme in quell’azzurro iridato e tutto ciò che avevamo alle spalle non ci apparteneva più. Quest’amore, perché questo era per Salvatore, mi coccolava, mi rubava il sorriso. Abbracciavo i suoi mazzi di fiori profumati, come in nessun altro posto, e mi accorgevo, come quel quadro in cui ero protagonista, assomigliasse ad un altro amore che mi aveva regalato la vita. Arrivò una serata bellissima ma, in cuor mio, temuta. Vivevo stati d’animo contrastanti. Una parte di me voleva lasciarsi andare a quell’amore che prometteva sicurezza, solidità, l’altra di me scalpitava, cercava avventure, rischio, un giorno diverso dall’altro, le sorprese, le rappacificazioni dopo le arrabbiature.

Mangiammo in un ristorante sul mare, dinanzi a noi uno spettacolo di rara bellezza che rapiva il cuore, poi la voglia di muoverci prese il sopravvento e andammo in una discoteca. Complice la musica, le pulsioni dell’età, lo stare bene insieme, mi sono sentita abbracciare e chiedere: «Roberta vuoi sposarmi? Vorresti avere tutto questo ai tuoi piedi? Saresti per sempre la mia regina.»

Ecco, dentro di me tutto si fermò. Pensai a quante ragazze avrebbero voluto sentirsi dire quelle parole! La vita si può regalare solo con queste premesse, le nostre mani si strinsero e bastava un gesto per rispondere. Bastava appoggiassi la mia testa sulla sua spalla così vicina e avremmo vinto insieme. Io non lo feci. Ero consapevole che qualunque cosa avessi detto avrebbe avuto un seguito particolarmente serio. Salvatore intuì questo mio disagio, anche se non trovò una spiegazione, però mi stupì ancora una volta e non insistendo mi rassicurò, dicendomi: «non avere fretta, parla con i tuoi genitori, io aspetto.»

Mi stavo innervosendo, non sbagliava un colpo, era perfetto in ogni suo dire, eppure il mio cuore era silenzioso, nessuna farfalla nello stomaco, tanta ammirazione, rispetto, questo sì. Non mi andava di tenerlo sulle spine e dargli false speranze, non lo meritava. Il no che sapevo avrei detto, cercai di elaborarlo dentro di me chiedendomi: «forse mi spaventa cambiare città?» Quando si è tanto legati alla famiglia, spaventa tagliare le proprie radici!

Con gli anni si acquista sicurezza e si diventa cittadini del mondo. Tempo dopo gli spedii una lettera dove, con tutto il tatto di cui ero capace, gli feci capire di non essere pronta ancora per sposarmi, avevo una situazione familiare complicata e non potevo, non volevo lasciare i miei da soli. Solo io sapevo di non dire la verità. Se c’è amore c’è il coraggio di affrontare qualsiasi cosa, perché tutto il tuo mondo è con te, con chi vuoi sia il padre dei tuoi figli, con chi vuoi costruire casa.

Ritornai al mio triste lavoro, ma non ero serena e, soprattutto, avevo deposto le armi, non avevo più voglia di combattere. Ero più silenziosa, diversa agli occhi di chi mi conosceva bene. Mia madre, come tutte le mamme, si preoccupava della mia salute ma non chiedeva. Alla luce dei fatti futuri, compresi dopo che ci sono momenti nella vita che sembrano fatti d’inerzia, di indifferenza, ma ci si accorge che sono solo soste per raccogliere tutte le forze necessarie ad affrontare un travagliato domani.

La vita con me non è stata avara di conoscenze. Giacomo è stato un altro regalo della vita, era un solitario, non bello ma pronto ad ascoltare. Questa sua qualità mi faceva sentire capita, prendeva le mie difese se qualcuno mi apostrofava male, mi invogliava a cercare un altro lavoro. Risento ancora le sue parole: «Tu Roberta sei una forza della natura, non ti fare spaventare dal cambiamento. Dentro sei tenera e dolce come una bambina triste e pensosa, ma gli altri rimangono alla superficie, la vera Roberta la conoscerà solo chi ne conquisterà il cuore.»

Caro, dolce Roberto, buono e troppo fragile per affrontare a muso duro questo mondo. La gioventù va spesso a braccio con l’egoismo, c’è un domani, un dopodomani e tanto ancora. Si può giocare a vivere il giorno più bello, l’avventura più rischiosa, scivolare, alzarsi e ripartire. In questa altalena di momenti intensi, si trascura tutto ciò che ci sta vicino e ci sfugge, forse il meglio della vita. Io l’ho perso una sera senza stelle in cui suo padre mi disse che Roberto non c’era più.

Non l’ho mai dimenticato perché mi aveva dato tanto in così poco tempo! Talvolta, una punta di disagio mi fa chiedere: perché non l’ho capito? Lui così altruista con me, sempre pronto a risollevarmi l’umore, si è tenuto tutto dentro, non è stato un peso per nessuno, ha preferito perderci piuttosto che conquistarci! Questo ricordo mi insegnò a non fermarmi mai alle apparenze, mentre dentro di noi scorrono fiumi di disagio, di debolezza, il cui peso ci rapisce alla vita.

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