La spesa per la salute è aumentata di oltre 100 euro per le famiglie del Sud e molti rinunciano alle cure. Lo rileva l’analisi della Fondazione Gimbe che si basa su dati Istat.
Secondo il sistema dei conti Istat-Sha, nel 2022 (ultimo anno disponibile) la spesa sanitaria totale in Italia ammonta a € 171.867 milioni: € 130.364 milioni di spesa pubblica (75,9%) e € 41.503 milioni di spesa privata, di cui € 36.835 milioni (21,4%) out-of-pocket e € 4.668 milioni (2,7%) intermediata da fondi sanitari e assicurazioni.
Se da un lato la spesa out-of-pocket supera la soglia del 15%, considerando un sistema sanitario misto, va rilevato che quasi l’89% della spesa privata è a carico delle famiglie.
Secondo i dati ISTAT sul cambiamento delle abitudini di spesa più di 1 famiglia su 4 ha dichiarato di avere limitato la spesa per visite mediche e accertamenti periodici preventivi in quantità e/o qualità. La media nazionale è del 16,7% nel 2023 mentre le Isole segnano un 18,5% e il Sud il 28,7%.
Nelle Isole oltre l’8% delle famiglie dichiara di non disporre di soldi in alcuni periodi dell’anno per far fronte a spese relative alle malattie. Sulla stessa linea le famiglie che rinuncino a prestazioni sanitarie.
In Sicilia il 7,2% delle famiglie dichiarano di aver rinunciato nell’ultimo anno a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, per uno o più motivi: problemi economici (impossibilità di pagare, costo eccessivo), difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi), lunghi tempi di attesa.
Gimbe
“L’impatto sulla salute individuale e collettiva dell’indebolimento della sanità pubblica non può limitarsi a valutare gli indicatori relativi alla spesa delle famiglie, ma deve anche considerare il livello di povertà assoluta della popolazione”. Ad evidenziarlo Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.
Il fenomeno della povertà assoluta è diffuso su tutto il territorio nazionale ma il Sud ha un aumento che varia dal 10,5% all’11,2% e nelle Isole vi è un incremento dal 9,2% al 9,8%. Percentuali nettamente superiori rispetto alle altre regioni del Centro-Nord. I dati, inoltre, evidenziano che vi sarà un peggioramento della salute e la riduzione dell’aspettativa di vita delle persone più povere del Paese.
“Questi fenomeni sono molto più frequenti nelle Regioni del Mezzogiorno, proprio quelle dove l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza è inadeguata. Conseguentemente, l’insufficiente offerta pubblica di servizi sanitari associata alla minore capacità di spesa delle famiglie del Sud condiziona negativamente lo stato di salute e l’aspettativa di vita alla nascita, un indicatore che vede tutte le Regioni del Mezzogiorno al di sotto della media nazionale”.
“Inoltre, lo status di povertà assoluta che coinvolge oggi più di due milioni di famiglie richiede urgenti politiche di contrasto alla povertà – evidenzia -. Non solo per garantire un tenore di vita dignitoso a tutte le persone, ma anche perché le diseguaglianze sociali nell’accesso alle cure e l’impossibilità di far fronte ai bisogni di salute con risorse proprie rischiano di compromettere la salute e la vita dei più poveri, in particolare nel Mezzogiorno – conclude -. Dove l’impatto sanitario, economico e sociale senza precedenti rischia di peggiorare ulteriormente con l’autonomia differenziata”.
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