Leonardo Sciascia, oltre che grande scrittore, è stato attenta coscienza civile di questo nostro disgraziato paese.
La sua penna, graffiante, ha squarciato il velo delle ipocrisie che tanto spesso hanno coperto verità inquietanti. Sciascia lo si può considerare, ed è cosa rara, intellettuale al servizio della ragione, contro gli oscurantismi e contro le ipocrisie del regime.
L’episodio che racconto, dimenticato da molti perché non coerente con il c.d. politically correct, riguarda una vicenda che coinvolse Enrico Berlinguer e Renato Guttuso e si collega al caso, particolarmente caro allo scrittore di Racalmuto, del rapimento del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro.
Ma veniamo ai fatti. Quando ancora era consigliere comunale del PCI a Palermo – ed era la stagione in cui Occhetto era segretario regionale – lo scrittore, accompagnato dall’allora amico Renato – che anche lui sedeva su uno degli scranni di palazzo delle Aquile – si recò alle Botteghe Oscure in visita al segretario Berlinguer.
La visita dovette essere particolarmente soddisfacente, Sciascia restò colpito dalla forte personalità del suo interlocutore e ne volle far partecipe gli amici primo fra tutti il pittore Bruno Caruso, cui dobbiamo il racconto completo di questa storia.
Nel corso di questa conversazione, alla quale erano pure presenti due amici del Caruso (si trattava di Tullio D’Angelo e di Francesco Giunta), lo scrittore raccontò che il segretario del PCI gli aveva confidato di “essere a conoscenza di certi rapporti del terrorismo italiano con la Cecoslovacchia”, ciò che significava il diretto coinvolgimento del mondo sovietico nel terrorismo.
Qualche tempo dopo, nel corso di un’altra conversazione alla quale erano anche presenti il pittore Maurilio Catalano, l’avvocato Perna ed il giudice Nasca nonché lo stesso Guttuso, Sciascia ripeté quando aveva già detto senza che il pittore bagherese avesse avuto niente da ridire.
Trascorso un certo tempo – Sciascia aveva già lasciato polemicamente il PCI ed era stato eletto nelle liste dei radicali alla Camera – lo scrittore di Racalmuto, membro della Commissione di indagine sul sequestro Moro, ricordò quell’episodio.
Apriti cielo! Tuoni e fulmini caddero sulla testa di Sciascia. Berlinguer infatti smentì pubblicamente lo scrittore chiamando Guttuso a testimone. Tutto avrebbe potuto immaginare il Nostro tranne che il suo amico Renato potesse sconfessarlo. Ed invece, questo avvenne, suscitando in Sciascia sgomento per il tradimento dell’amico, e disgusto per la sottesa accusa d’esser un mentitore.
Da uomo mite sì ma, anche orgoglioso, quale era, lo scrittore siciliano non accettò di soccombere ma, punto su punto, ribadì quanto aveva riferito. Com’era nelle cose, visto il livello al quale era giunta la polemica, Berlinguer querelò Sciascia per diffamazione supportando la propria richiesta con la testimonianza del fedele Guttuso.
Sciascia, per nulla intimidito, ricorse anche lui alle aule giudiziarie, denunciando il segretario del PCI per calunnia “in quanto lo aveva querelato pur sapendolo innocente della diffamazione”. E Guttuso, mettendo le mani avanti, nel corso di una trasmissione televisiva non si era fatto scrupolo di dare del “mafioso” allo stesso Sciascia in quanto avrebbe voluto per amicizia costringerlo a mentire.
Venne dunque istruito il processo nel quale, stranamente, nonostante la difesa del presunto diffamante, cioè di Sciascia, li avesse citati come testimoni, non furono ascoltati né Catalano, né Perna, né il giudice Nasca, il magistrato diede sbrigativamente torto a Sciascia e ragione a Berlinguer, scrive Caruso, “forte del principio che due voci valgono più di una”: quella di Sciascia contro quella di Guttuso e Berlinguer.
La vicenda si chiuse però senza conseguenze penali per lo scrittore in quanto il processo fu archiviato perché il fatto, cioè la rivelazione di Sciascia, era avvenuta in sede parlamentare. “Da allora, scrive Caruso, né Sciascia, né io, né alcuno dei nostri amici siciliani volle più né rivedere né salutare l’ex amico Renato Guttuso”.