143 profughi a bordo di un gommone sono stai tratti in salvo nelle coste di Tripoli, in Libia, dalle forze dell’organizzazione umanitaria Sos Mediterranee grazie ad Aquarius, unica nave civile di ricerca che opera durante i mesi invernali senza sosta. Sono 138 uomini e 5 donne, di cui una incinta; la maggior parte di loro provengono dall’Africa Subsahariana e ci sono 47 minori.
L’imbarcazione Aquarius era a 10 miglia di distanza dal gommone con i profughi; dopo l’avvistamento avvenuto verso le 8 del mattino, da un aereo di sorveglianza, sono state individuate anche delle persone in acqua. Il gommone appariva già in condizioni precarie e la Aquarius ha attivato subito le procedure per gestire un afflusso massiccio di feriti.
“Siamo arrivati appena in tempo – afferma Nicola Stalla, vice coordinatore del Sar del team di Sos Mediterranee – Il pavimento in legno del gommone era già rotto e l’acqua stava entrando all’interno dell’imbarcazione. In queste condizioni, con due persone in acqua senza giubbotti di salvataggio e le altre in preda al panico, che si gettavano in mare a causa delle esalazioni di carburante e delle ustioni, poteva finire molto male. Alla fine è andato tutto a buon fine”.
Non risultano al momento casi gravi. Un uomo è arrivato coperto di sangue, potrebbe essersi ferito alla testa durante il salvataggio. Tutti erano in ipotermia quando sono arrivati a bordo e hanno dovuto subito fare una doccia, obbligatoria per scongiurare il pericolo di gravi ustioni provocate dalla miscela di acqua salata e carburante. Alcuni di loro erano in stato di shock. I 143 profughi sono stati successivamente trasferiti sulla nave Phoenix (MOAS), di rientro in Italia per concludere la sua missione per la stagione invernale, in modo da consentire alla Aquarius di rimanere in zona SAR.
Tragiche le testimonianze dei sopravvissuti dove spiegano come sia meno pericoloso tentare la fortuna in mare anche in inverno, con maggiore rischio di perdere la vita, che restare nelle loro terre continuamente bombardate. Due profughi avevano già tentato la fortuna esattamente due mesi fa quando la loro imbarcazione si era rotta non riuscendo a raggiungere acque internazionali; i sopravvissuti vennero poi lasciati nelle coste libiche in mano ai trafficanti. Raccontano di essere stati poi rinchiusi in carcere fino a ieri, quando sono stati spinti di nuovo in mare.
“Nel naufragio di ottobre ho perso le mie sorelle – afferma uno dei due profughi – Io non ho più paura, in Libia ci trattano come schiavi. Non avevo altra scelta che rimettermi in mare“. “Ci sono molti neri imprigionati in Libia – gli fa eco il compagno di sventure – Per i libici noi siamo ‘merce’, molti vorrebbero tornare a casa invece vengono rapiti, picchiati e tenuti in ostaggio in carcere“.