La Sicilia torna in zona arancione ed esplode la protesta degli operatori economici di Cefalù, stremati da un’emergenza che va avanti da ormai un anno e dall’estenuante susseguirsi di chiusure, riaperture (con rigide restrizioni) e poi nuove chiusure, che rischiano di togliere a parecchi operatori economici le residue possibilità di provare a resistere alla crisi. Per questo è stata indetta una protesta pubblica per mercoledì 17 marzo a Cefalù, con imprenditori e commercianti che fanno quadrato per far sentire la loro voce e per dire allo Stato che un intero tessuto sociale ed economico a Cefalù è arrivato al bivio tra un disastro irreversibile e l’ultima chance di restare in piedi e sperare di ripartire.
In piazza scenderanno i ristoratori ma anche i commercianti e gli albergatori che, tutti uniti, lanciano la loro manifestazione con un eloquente slogan: “Turismo e miseria, a Cefalù chi viveva di turismo stagionale oggi non vive più”. E’ il grido di dolore di chi non ce la fa più a questa crisi infinita, a un’emergenza sanitaria che è diventata dramma economico e sociale per tante attività e altrettante famiglie.
Le associazioni Federlaberghi , A.R.C.H. (Associazione Ristoratori Cefalù ho.re.ca.), Cefalù Com (commercianti ), Cefalù Extralberghieri, le Guide Turistiche e altri operatori di settore, si sono date appuntamento in piazza Duomo a Cefalù per mercoledì mattina, a partire dalle ore 10. Hanno organizzato un sit-in di protesta per manifestare tutto il loro sdegno per “una situazione giunta ormai ai limiti della tollerabilità”.
“Da più di un anno le categorie economicamente colpite dalle conseguenze della pandemia sono sempre le stesse – spiegano le associazioni -. Abbiamo attinto anche ai nostri ultimi risparmi e ci siamo indebitati per cercare di sopravvivere fino ad oggi e non far morire, assieme alle nostre attività, tutto l’indotto e la filiera a noi collegati. Per sostenere le nostre famiglie e quelle dei nostri collaboratori. Adesso abbiamo finito tutto, anche la speranza. Ci è rimasta solo la dignità. Quella di chi non si vuole rassegnare al fallimento e non può accettare l’idea di buttare via anni e anni di duro lavoro. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, ma questo diritto, per noi sembra non esistere più”.
Le associazioni produttive di Cefalù, l’anima e il cuore dell’economia di una delle più belle località della Sicilia, da sempre tra i simboli del turismo dell’isola, pongono l’accento sulle promesse di aiuto che sono state disattese e sulla beffa del dover pagare ancora le tasse nonostante da parecchi mesi le attività siano ridotte alla paralisi del fatturato zero: “Ristori farsa e tasse incalzanti che come una spada di Damocle pendono sulle nostre teste. Noi non abbiamo più risorse per andare avanti. Adesso c’è quest’ultimo smacco. L’ennesimo, ingiustificato “limbo” arancione che di fatto penalizza, ancora una volta, sempre gli stessi, sacrificabili, comparti produttivi. Strutture ricettive, ristoratori, commercianti, artigiani e tutti coloro che lavorano, in maniera diretta o indiretta col turismo, sono in ginocchio da troppo tempo ormai. Molti di loro non si rialzeranno mai più”.
Poi la richiesta al governo Draghi: “Chiediamo ristori concreti, immediati e adeguati, una tassazione proporzionale alla stagionalità e almeno un anno fiscale bianco. Ma più in generale maggiore attenzione per un settore, quello del turismo e dell’hospitality, che in Sicilia rappresenta il vero motore dell’economia. La vera eccellenza che il mondo ci invidia e che ora rischia di soffocare nella colpevole indifferenza di chi ci governa. Tutto ciò è inaccettabile”.