In Sicilia torna alla ribalta il tema dello smart working.
La nuova frontiera del lavoro si è fatta largo da Nord a Sud offrendo nuove opportunità all’interno di un mercato in continua evoluzione, non senza, però, incappare in alcune ostilità. Gli anni subito successivi alla pandemia ne sono un chiaro esempio, subendo una brusca frenata alla ventata di novità rispetto alle aspettative, che rimarcavano una mutazione repentina mai concretizzata del tutto nella realtà. Il lavoro a distanza non è stato comunque abbandonato e i maggiori stimoli provengono dal settore privato.
Le divergenze in materia tra privato e pubblico sono evidenti, non solo nella regolamentazione. Il gap, infatti, deriva anche da una visione e da un approccio differente, tra chi guarda al futuro e alle nuove esigenze del mondo del lavoro e chi, ancorato al passato, fatica a ingranare la marcia verso l’innovazione. Nel settore privato la disciplina dello smart working viene demandata ad accordi collettivi aziendali, che definiscono i giorni in cui i dipendenti lavorano in presenza e quelli in cui lavorano da remoto. Sono così le grandi e media imprese a cavalcare l’onda, traendo alcuni punti a proprio favore, come l’abbassamento notevoli dei costi per il mantenimento di strutture e uffici. Da considerare è anche il grande appeal attrattivo. Soprattutto tra i giovani, il lavoro agile, è considerato un’ottima opzione per conciliare al meglio sfera professionale e personale, a cui difficilmente rinuncerebbero.
Gli ultimi dati
A confermare questo trend è lo studio di alcuni economisti della Banca d’Italia. A beneficiare maggiormente dello smart working sarebbero maggiormente i giovani, le donne e in generale il Mezzogiorno. Lo studio, pubblicato nei giorni scorsi, ha analizzato l’impatto del lavoro agile tra il 2019 e il 2022 e sfrutta una banca dati amministrativa unica a livello europeo, costruita grazie agli obblighi di comunicazione che le aziende hanno nei confronti del ministero del Lavoro.

Uno dei primi risultati emersi è che la possibilità di lavorare da casa ha inciso positivamente sia sul tasso di attività sia sull’occupazione, soprattutto dove l’accesso al mercato del lavoro è storicamente più basso. Nelle aree meridionali e in quelle meno popolate, il lavoro a distanza ha rappresentato un’opportunità per chi, in assenza di servizi di welfare adeguati, avrebbe rischiato di restare inattivo. I dati mostrano che un aumento standardizzato dei lavoratori in smart working, rapportato al totale degli occupati locali, ha prodotto un incremento di 0,9 punti percentuali nel tasso di partecipazione e di 0,7 punti in quello di occupazione. Effetti che diventano più forti quando lo smart working riguarda le donne e la fascia 25-49 anni, la più coinvolta nelle responsabilità di cura dei bambini. Il quadro italiano rende l’analisi particolarmente rilevante nel confronto europeo: il nostro Paese presenta storicamente tassi di attività tra i più bassi, soprattutto tra le donne e nel Sud.
Inoltre, prima del covid, il ricorso al lavoro da remoto era molto più contenuto che altrove, rendendo il boom pandemico un vero shock. Da qui l’effetto inclusivo: se nel Centro-Nord urbano lo smart working è più diffuso ma meno decisivo per spingere nuovi ingressi nel mercato, al Sud e nelle zone periferiche ha svolto un ruolo chiave. In queste aree, meno dinamiche e con minori servizi, il lavoro da remoto ha offerto una porta di accesso per persone che altrimenti sarebbero rimaste fuori. Una buona spinta in un Paese che deve fare i conti con bassa natalità, invecchiamento demografico e scarsa partecipazione al lavoro.
Le mosse della Regione
Le svariate opportunità da poter sfruttare sono finite così nel mirino della Regione Siciliana. In tal senso, il presidente Renato Schifani e il suo governo starebbero lavorando a delle misure specifiche. Ad anticiparle è stato lo stesso governatore nel corso dell’Etna Forum di Ragalna, manifestazione andata in scena lo scorso fine settimana.

L’idea è quella di sostenere quelle imprese fuori il Mezzogiorno “che consentono ai giovani di lavorare in smart working. Il Covid ci ha lasciato tante negatività, ma anche la possibilità del lavoro a distanza. Il mondo è cambiato e tanti lavori si posso fare a distanza. In passato avevo stanziato nel 2023, nel 2024 e nel 2025 50 milioni l’anno per gli incentivi e le assunzioni, ma, non per colpa nostra, questo stanziamento non è stato reso operativo. Per il 2026 abbiamo altri 50 milioni stanziati da poter utilizzare in questa campo. Farò di tutto perché questi fondi non vengano persi nel 2025 e rendere operativi quelli previsti per il 2026. E’ una scommessa che non intendo perdere“.
Largo spazio potrebbero così trovare nei prossimi mesi temi relativi all’assunzione e al modo del lavoro. Dalle previsioni del presidente Schifani è probabile che una pacchetto di risorse venga ritagliato ad hoc all’interna della prossima legge Finanziaria. E chissà che qualche novità non possa giungere già prima, come per esempio all’interno della manovra quater o altri provvedimenti appositi prima del rush finale.

L’ultima mossa della macchina amministrativa regionale risale a circa un mese fa, al termine di luglio, con un faro acceso sul settore pubblico. In quell’occasione fu l’assessore alle Autonomie locali e alla funzione pubblica Andrea Messina a presentato ai sindacati le nuove circolari attuative su lavoro agile, smart working e coworking e ferie solidali, per dare attuazione a quanto previsto dal contratto collettivo di lavoro della Regione per il triennio 2019-2021, regolando in modo uniforme le modalità di accesso e svolgimento delle prestazioni, sia per il personale dirigente che non dirigenziale, da svolgere al di fuori della sede ordinaria di servizio.
Insomma piccoli passi avanti, su diversi e opposti fronti, per rendere una risorsa dalle variegate sfaccettature come lo smart working a portata di mano anche per i siciliani e soprattutto i giovani.
La Sicilia terra dello smart working: dallo spopolamento ai nomadi digitali
Già, perché intanto la Sicilia è diventata meta ambita e prediletta, non solo dal resto di Italia, ma anche degli stranieri, per svolgere il lavoro da remoto. E’ il caso del fenomeno dei nomadi digitali.
Negli ultimi anni vari borghi delle aree interne e isole delle Sicilia si sono trasformati in mete ricercate dal network del nomadismo digitale. Un’attrattività che nasce dall’unicità delle sue bellezze naturali, il costo della vita relativamente basso e il nuovo quadro normativo favorevole.

L’insediamento di nomadi digitali nell’Isola, secondo alcune analisi, porta numerosi benefici. Innanzitutto, migliora la bilancia commerciale del turismo, con soggiorni più lunghi e stabili rispetto al turismo tradizionale. Inoltre, contribuisce a contrastare lo spopolamento, attirando nuovi residenti giovani e qualificati che ringiovanirebbero il tessuto sociale. Favorisce anche la diffusione di una cultura tecnologica e dell’innovazione in Sicilia. La presenza di professionisti digitali stimola anche la creazione di ecosistemi innovativi, beneficiando startup, imprese locali e centri di ricerca. Un processo, un fermento tecnologico che porta ad innescare un circolo virtuoso, attirando investimenti e talenti, favorendo lo sviluppo di settori ad alto valore aggiunto.
Insomma, i vantaggi sarebbero notevoli e c’è chi, dall’esterno, al di là delle coste siciliane, sembra averle intuite con largo anticipo.