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L'esperto

Sintomi, algoritmi e rischi: perché il medico resta il filtro essenziale nell’era dell’AI CLICCA PER IL VIDEO

giovedì 31 Luglio 2025

L’intelligenza artificiale è sempre più presente nella vita quotidiana, compresa quella sanitaria. Secondo il World Economic Forum, entro il 2030 oltre il 60% delle strutture sanitarie in Europa integrerà sistemi di AI nei processi diagnostici e decisionali. In Italia, già oggi, si sperimentano piattaforme intelligenti in radiologia, oncologia, cardiologia e medicina di laboratorio. Tuttavia, il rischio dell’autodiagnosi e della sostituzione del medico resta alto, soprattutto tra i pazienti più giovani e digitalizzati.

Questo scenario evidenzia una duplice necessità: garantire una corretta alfabetizzazione digitale e preservare il rapporto umano nella cura. In questo contesto, è fondamentale comprendere come usare l’AI in modo consapevole e quando, invece, è indispensabile rivolgersi al medico.

“L’intelligenza artificiale è una rivoluzione inarrestabile, ma deve essere gestita con equilibrio. Non è il nemico del medico, bensì uno strumento di supporto, a patto che se ne conosca il funzionamento e se ne riconoscano i limiti”.

A dichiararlo è Calogero Cammà, professore ordinario di Gastroenterologia e direttore dell’UOC di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico di Palermo, per il PROMISE – Programma Mattone Internazionale Salute, che promuove l’uso consapevole delle tecnologie digitali in sanità attraverso formazione, scambi internazionali e diffusione delle buone pratiche.

Quando l’AI non basta

“L’autodiagnosi tramite app, chatbot o ricerche online può essere molto pericolosa – avverte il professore –. La rete è piena di informazioni non verificate e spesso fuorvianti, che possono ritardare la diagnosi corretta o generare allarmismi inutili. Lo abbiamo visto chiaramente durante la pandemia da Covid-19, quando le fake news hanno fatto danni enormi alla salute pubblica. L’uso corretto dell’intelligenza artificiale deve sempre passare per la mediazione del professionista sanitario perché serve alfabetizzazione digitale, soprattutto tra le fasce più fragili e anziane della popolazione. Il paziente non può diventare medico di sé stesso leggendo su internet o interrogando un algoritmo”.

Il valore della relazione

“Il nodo centrale resta la relazione medico-paziente – evidenzia -. Un algoritmo può aiutare a leggere una TAC o riconoscere un pattern clinico, ma non potrà mai sostituire l’ascolto, l’empatia, la responsabilità clinica e la presa in carico complessiva del paziente. In alcuni ambiti, come l’analisi di immagini radiologiche o l’elaborazione di referti istologici, le AI possono addirittura superare la precisione umana. Ma non è questo il punto. Il medico deve essere come il pilota di un aereo: la tecnologia lo assiste, ma il controllo e la responsabilità restano nelle sue mani”.

Alfabetizzazione e cultura della salute

“Per affrontare con maturità questa transizione dobbiamo investire in alfabetizzazione sanitaria e digitale, a partire dalle scuole, passando per le università e arrivando fino alla formazione continua degli operatori sanitari – conclude Cammà –. Un paziente informato è un paziente più consapevole, ma non deve diventare autoreferenziale: il sapere condiviso deve rafforzare il rapporto con il medico, non sostituirlo”.

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